Namasté Oskar Piazza

Il ricordo e saluto a Oskar Piazza, guida alpina e membro del Soccorso alpino rimasto vittima del devastante terremoto in Nepal del 25 aprile 2015. Di Manuel Lugli.
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Oskar Piazza
Manuel Lugli
Tanto tempo fa avevo scritto di Oskar che era un amico in salita: una di quelle persone che richiedono fatica e impegno per conoscerle. Che non si scoprono al primo incontro e neanche al secondo, ma richiedono dedizione e costanza per conquistarne l’amicizia.

Oskar era lui stesso una montagna, in fondo. Come le montagne sapeva essere difficile e aspro, ma anche generoso, accogliente e meravigliosamente solare; sapeva darti emozioni rare o chiudersi sotto temporali che nessuno, proprio nessuno poteva evitare. Ma guadagnare la sua cima voleva dire non tornare indietro, mai. Neanche dopo mesi di distanza e silenzi. Una volta che impari ad amare la montagna non smetti più, nè dimentichi le sue pareti scoscese o i suoi pendii più dolci da sciare. Ecco, Oskar era proprio una montagna.

Con Oskar abbiamo condiviso viaggi splendidi, spedizioni difficili e a volte davvero dure. Mai uno screzio, un’incomprensione. Ci sono persone con cui si accendono canali di comunicazione che vanno ben oltre le parole: sono i diedri dritti della simpatia che diventano empatia e infine amicizia allo stato puro. Non lo vedevi ridere spesso, ma quando eravamo insieme la miscela dell’amicizia s’incendiava di ghignate incontenibili, complici certe sua manie meravigliose, come quella di fare e disfare i bidoni dei materiali più e più volte, per avere alla fine la più rigorosa e meticolosa delle organizzazioni.

Di me aveva apprezzato certamente alcuni modeste doti organizzative, ma forse di più una buona dose d’ironia molto emiliana, che in molti casi stemperava tensioni e problemi, risolvendo tutto in una grande risata. E quando Oskar rideva sapeva essere molto contagioso. Il mio soprannome per lui era ossimoro fisico: Oskarino. Non credo fossero in molti a chiamarlo così. Direi nessuno, tranne forse la sua amata compagna Luisa, a volte, quando eravamo tutti insieme. Ma mi ero guadagnato questo scherzoso diritto con lunghi anni di cammino condiviso.

La sua serietà e preparazione, il suo rigore professionale erano rari e incutevano molto rispetto, spesso vera soggezione. Non ho mai visto nessuno lavorare tanto e così intensamente, fino ai limiti – a volte anche oltre – dell’esaurimento psico-fisico. Qualche rara volta mi ero perfino permesso di rimproverarlo; lui aveva ascoltato, mi aveva dato ragione sorridendo bonariamente ed aveva ovviamente continuato a lavorare alla stessa identica maniera. Le tantissime, addolorate persone presenti al suo addio a Mori, sono il segno più forte di quanto Oskar abbia inciso sulla vita professionale e umana di tanti uomini e donne.

L’ultimo viaggio fatto insieme, in Nepal, nostra comune e amata seconda patria, è uno dei più belli di tutta la mia vita. Per i casi che a volte segnano momenti e persone, ci siamo sentiti al telefono il 15 aprile scorso, proprio mentre lui era a Kathmandu a preparare alcuni dei suoi famosi, complicatissimi bidoni. Una breve chiacchierata e la promessa di vederci al suo rientro. Ora ho ricordi indelebili che potrebbero riempire pagine e pagine, ricordi diventati nostalgia e dolore.

Come si saluta una montagna? Il Bergheil teutonico e militaresco non si addice certo a Oskar, silenzioso e in qualche modo dolcemente dolente. Preferisco salutarlo alla nepalese: Namasté, caro amico, che gli spiriti della montagna ti siano compagni e Sagarmatha, la dea Madre della Terra si prenda cura di te.

di Manuel Lugli

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