Mount Kenya, trekking e alpinismo in Africa

Nicolò Berzi e Paolo Masala negli spazi infiniti dei Parchi nazionali del Kenya. Tra trekking e montagne per riscoprire il "giusto" tempo ed equilibrio dell'esperienza.
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Masai Mara National Park
Milena Marsoni
Spesso ci siamo soffermati, parlando di montagna e natura, sui ritmi e tempi diversi che questi spazi hanno rispetto al nostro quotidiano. Ascoltare e percepire la "lentezza", o meglio il "respiro" senza inizio e senza fine del mondo che ci ha generati e che ci accoglie, è una sensibilità che sembra non essere più contemplata.
E' per questo che ci sembra interessante proporre questa riflessione di Nicolò Berzi e Paolo Masala "a margine", e come stimolo, al loro report (con annesse istruzioni d'uso) per un trekking in Kenya a cui si aggiunge la bella salita della via Shipton alla Punta Nelion al Mount Kenya.
Vi invitiamo a leggerlo e a sognare gli ampi spazi africani... lentamente, pensando che anche un sogno e un progetto valgono la pena di essere vissuti e che un sogno può bastare per se stesso.


Trekking, alpinismo, Africa. Semplici riflessioni a margine…
di Paolo Masala e Nicolò Berzi

Perchè domani, o forse chissà quando, ci dirigeremo verso quella cima? Questa montagna, questo profilo di roccia, avvicina e allontana. Questa montagna avvicina al cielo e allontana dagli slum, dalle baraccopoli, dalle metropoli, dai grandi agglomerati urbani. Diminuisce la distanza con lo spazio infinito dove ciascuno di noi ripone sogni, paure e speranze, e nel contempo ci rende irraggiungibili creando solitudine, intimità, raccoglimento, silenzio... E' la ''dimensione montagna'' che cerchiamo ed esploriamo, meno esercizio fisico e più sforzo psichico, meno necessità materiale e più ricerca spirituale.

Una montagna fatta anche dal nostro contatto con la roccia, l'acqua, la terra sotto i piedi, tra le mani. Fatta dal nostro bisogno di neve e di ghiaccio, di gocce di condensa e umidità sulla pelle. Dall’ascolto e del rispetto per il respiro della foresta, attraverso il fruscio dei rami che si toccano, del vento che li scuote e li attraversa facendoli dondolare. Ma fatta anche del brulichio apparentemente fastidioso delle formiche che si muovono veloci, del lavoro laborioso dell'uccello che sta costruendo il nido, dei bufali possenti e allo stesso tempo delicati che si abbeverano alle preziose e rare pozze d’acqua e della talpa che, nella sua apparente cecità, scava, scava, scava...

E' una montagna, un profilo, fatto di carezze, date e ricevute. Di serenità che ridiscende i nostri corpi liberando lo stomaco, e ancor di più le nostre anime, dai piccoli e grandi turbamenti, dalle piccole e grandi tensioni e fà respirare profondamente invitandoci a guardarci attorno per cogliere le infinite e piccole sfumature, gli impercettibili suoni, i lievi profumi. E' una dimensione fatta di nebbia alle prime luci dell’alba, di vento e di sole cocente nelle ore più calde della giornata, ma anche di una strana miscela tra angoscia e stupore perchè l'atmosfera che si crea, che ci attraversa, che si respira fuori e dentro di noi, è sempre più tersa, più limpida, come l'aria del mattino di una primavera alpina che pizzica le guance.

Tutto ciò è reso possibile proprio dalla ''fatica'' che questa montagna chiede, dal nostro umile ''conquistare'' la cima cercando di comprendere i nostri innumerevoli limiti e la grandezza delle piccole cose: l’armonico insieme che crea il disegno. Non si giunge a tutto questo con una funivia, un elicottero privato o con qualsivoglia mezzo meccanico creato dall’ingegno dell’uomo. Non è qui, non è oggi che ci importa l'altitudine a cui si arriva. E' il percorso che conta, è quanto di noi stessi siamo disposti a mettere in gioco per raggiungere la “nostra” montagna.

Per farlo invitiamo alla necessità di riscoprire il valore di quello che Alexander Langer definiva ''più lento, più dolce ''. E allora è facile comprendere come i sentieri di questa montagna siano testimoni di percorsi ben più lunghi e profondi del nostro semplice camminare. Chi li ha percorsi, nel suo dialogo con Ngai, il dio dei Kikuyu, o con chi crede sia più in alto o semplicemente intorno a lui, ha parlato spesso anche della semina, del raccolto, del timore delle alluvioni degli incendi, di un’altra inutile e sciagurata, come tutte, guerra. E così, nelle pause e nel riposo notturno nei vari Camp, sotto un cielo infinitamente buio ma percorso da sterminate costellazioni, cerchiamo di riscoprire sensazioni e sentimenti che riportino al rispetto che ciascuno deve avere per sé stesso e per ogni essere e ambiente che lo circonda.

E la nostra ricerca, la strada che si delinea, induce all'intimità e al raccoglimento, alla riflessione sui limiti, sui vincoli che si fanno possibilità, sulla grandezza ma anche sulla fragilità della natura. E il limite, il vincolo, diventa valore in sé che insegna ed educa alla solidarietà, a collaborare per vivere e a vivere meglio. La lussureggiante bio-diversità di queste savane e foreste ci insegnano il profondo valore e ricchezza della differenza. E ci avverte anche che oggi rischia di sparire, in un assordante silenzio, un quarto delle specie presenti: specie che, una volta scomparse, non saranno più recuperabili, non torneranno mai più. E saremo tutti infinitamente, materialmente e spiritualmente, più poveri.

Non esiste prodigio tecnologico, elevata memoria di computer o mezzo sofisticato che le possa tenere in vita se non invertiremo, nella nostra distratta quotidianità, la tendenza che oggi porta alla loro distruzione, perchè mette i disvalori del ''tutto e subito'' davanti al valore dell’ ''equilibrio nel tempo''. Questa consapevolezza esige voglia di sentimenti di giustizia, un sentimento che necessariamente deve passare attraverso un ''credere'' - che accomuna laici, come noi per esempio, a persone di diverse professioni di fede - che sia possibile e doveroso cambiare rotta, fare chiarezza, uscire delle ambiguità, ricercare un riequilibrio tra i piani, ma soprattutto ridare la giusta dignità ad ogni essere vivente. Un credere che non può che condurci a una scelta ecologica forte, intima, disciplinata, virtuosa, personale e soprattutto politica nel senso più eticamente corretto. Una scelta che invitiamo a sostenere e testimoniare riuscendo a vivere - senza angoscia - in spazi aperti, nelle valli africane come sulla cima del Kenya, a cospetto del cielo.

Sempre Langer ci ha ricordato che ''Meno invece che più, come programma di contrazione, non va disgiunto dal vivere meglio con meno'': la qualità ecologica sociale e culturale (l'armonia con la natura, lo sviluppo dei rapporti sociali più conviviali, le molteplici risorse di identità e di autorealizzazione) della nostra vita personale, comunitaria e socializzata non dipende in primo luogo dalle quantità materiali, ma dipende da altro. La ricerca dell'essenza delle cose, dunque, la salvaguardia dell'intimità con noi stessi, la necessità di opzioni chiare, definite, come un cielo terso dopo un forte temporale d’agosto. Una serenità che scende dentro dopo tanta inquietudine.

Sicuramente non siamo apologeti di vecchie o nuove religiosità ma di percorsi d’autentica spiritualità. In ogni caso ineludibile necessità di rincontrarsi con se stessi, con chiarezza, per comprendere il senso - o il non senso - della direzione verso cui camminiamo, del passo che teniamo, del sentiero, via, parete che stiamo percorrendo, dopo il Kenya, verso un’altra cima tra le tante.

Paolo Masala e Nicolò Berzi


Scarica i file del trekking e della salita
Trekking in Kenia
Via Shipton alla P.ta Nelion
Info logistiche Kenya



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