Ghiaccio di Cascata: se le candele fanno crack…

Elio Bonfanti presenta una ricerca del Laboratorio di glaciologia e geofisica dell’ambiente (CNRS-UJF) di Grenoble con un'intervista alla dot.ssa Maurine Montagnat Rentier, coordinatrice del progetto che si propone di studiare il comportamento delle cascate di ghiaccio.
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Sulla candela...
Monica Dalmasso
Vorrei iniziare a parlare di questo argomento, importante e vitale, cercando di sdrammatizzarlo da subito introducendolo con una canzoncina che mi frullava per la testa durante un difficile tiro su una candela di ghiaccio che ho ripetuto quest’anno. Il motivetto era: “Quando i bambini fanno oh…” che meraviglia. Molti credo che se lo ricorderanno era grazioso e orecchiabile ma soprattutto con un refrain molto ripetitivo. Ad un certo punto della salita però la candela su cui ero appeso ha fatto crack riportandomi subito l’ attenzione ed i livelli di adrenalina alle stelle. In un attimo ho pensato ad una serie di incidenti che sono successi ultimamente proprio a causa dell’esplosione dei cosiddetti free standing, alle foto apparse sui siti e a qualche amico che più fortunato di altri era in ospedale a leccarsi le ferite.

Così, considerato che dopo un primo momento di vero panico la cascata era ancora su, la canzoncina seguendo sempre lo stesso tema musicale si è automaticamente trasformata in uno stiracchiato: “ E le candele fanno crack…” che meraviglia… accompagnandomi sino alla sosta. Certo nell’alpinismo una grossa fetta di imponderabile rimane ed è forse il vero pepe di questa attività ed oggi la tecnica ha spostato il limite molto più in la di dove si arrivava una volta ma quando le candele fanno crack non sanno quanto è esperto o famoso quello che le sta salendo fanno crack e basta e a quel punto conta solo la fortuna.

Certo sarebbe forse meglio non andarci ma… gironzolando per ghiacci ho scoperto che a Grenoble il laboratorio di glaciologia e geofisica dell’ambiente ha deciso di farci “da angelo custode” pianificando una ricerca studio sulle dinamiche di formazione delle cascate di ghiaccio. Evviva, si potrebbe dire, così sapremo “scientificamente” se salire quel free standing o no! Purtroppo non è così, forse alla fine di tutto sapremo “solo” quel qualcosa in più che ci renderà magari più consapevoli o diffidenti rispetto ai rischi che decideremo di correre anche perché su quella candeletta non ci sarà nessuno scienziato ad accompagnarci.

Nello specifico si tratta di un progetto di ricerca unico ed originale che nasce dal sostegno della fondazione Petzl al laboratorio di glaciologia e geofisica dell’ambiente (CNRS-UJF Grenoble). Questo gruppo di studio si costituì in seguito alle numerose domande rivolte al glaciologo Luc Moreau quando intervenne al corso di formazione per guide di alta montagna. In quell’occasione si poté constatare che, se la neve ed il ghiaccio dei ghiacciai, erano stati oggetto di numerose ricerche nessuno studio o pubblicazione scientifica esisteva sul terreno specifico delle cascate di ghiaccio. Da questa constatazione nel 2006 iniziò lo studio sistematico delle cascate di ghiaccio con l’obbiettivo di apportare alla comunità scientifica e ai praticanti degli sport invernali una migliore conoscenza sulla formazione e sul comportamento del ghiaccio in cascata.

Queste le domande a cui il gruppo di lavoro si è proposto di dare risposta:
- Come si formano e come evolvono le cascate di ghiaccio?
- Qual è la struttura del ghiaccio che le compone ?
- Qual è la loro struttura interna?
- Come reagiscono i tipi di ghiaccio alle sollecitazione esterne, ai Cambi di temperatura e alle manovre meccaniche?

Al momento di iniziare la ricerca, il team decise, al posto di uno “studio applicato”, di intraprendere uno “studio fondamentale” in quanto per un ambito di lavoro che non era mai stato esplorato, era inimmaginabile pensare di iniziare una ricerca applicata senza avere prima delle conoscenze globali e quindi fondamentali. Bisogna sottolineare che senza una prospettiva economica immediata un tipo di ricerca fondamentale e quindi così lunga e complessa è solitamente appannaggio dei laboratori di ricerca “pura” e non è oggetto di interesse da parte delle industrie.

Metodologia di studio: trattandosi di un terreno inesplorato ed unicamente punteggiato dalle empiriche osservazioni degli alpinisti, gli studiosi, abbordando come detto prima lo studio da un punto di vista 'fondamentale', hanno cercato in un primo tempo di normalizzare un metodo di lavoro affrontando dapprima la sequenza delle domande a cui dare una risposta, per poi passare ai protocolli di osservazione ed infine alla preparazione delle attrezzature necessarie. Poi, per iniziare l’osservazione e per non far variare troppi parametri simultaneamente, il terreno di osservazione è stato individuato in un gruppo di cascate di riferimento situate nel bacino d’Argentiere nella valle di Chamonix.

Su queste cascate sono stati installati per tutto l’inverno: degli apparecchi fotografici fissi che scattavano 5 immagini al giorno e dei rilevatori di pressione e di temperatura nel cuore di una colonna free-standing. Inoltre sono stati effettuati dei prelevamenti di ghiaccio con carotaggi profondi insieme a studi per impatto riproducente l’ urto della piccozza di uno scalatore. Attualmente in seguito ad un primo inverno di organizzazione e a due di osservazione e di prelevamenti, il laboratorio dispone di un insieme di dati che permetteranno di orientare le prossime campagne di ricerca che si propongono di estendere questi protocolli di studio anche alle goulotte in alta quota. Per saperne un po' di più abbiamo contattato la dottoressa Maurine Montagnat Rentier che è la coordinatrice di questo progetto incaricata dal laboratorio di glaciologia e geofisica di Grenoble la quale con molta disponibilità ed in anteprima assoluta ci rende partecipi del lavoro fin qui svolto.

Intervista alla Dot.ssa Maurine Montagnat Rentie, coordinatrice del progetto

A seguito del vostro studio come potrebbe cambiare l’approccio dei praticanti?
Senza dubbio apportando loro una migliore conoscenza del campo, vale a dire, dandogli una idea più precisa del materiale sul quale arrampicano e soprattutto delle sue reazioni alle sollecitazioni. Ma noi non saremo mai in condizione di donare loro degli elementi supplementari tali e concreti per aumentare la sicurezza. L’esperienza rimane la miglior guida.

Come reagisce il ghiaccio ai cambiamenti di temperatura?
Generalmente il ghiaccio si ritira quando la temperatura si abbassa. Se questo ghiaccio è fissato alle sue estremità, come su un free-standing, va trovarsi sotto contrazione e questo stato favorisce la propagazione delle fessurazioni e le rotture sono talvolta catastrofiche. Se il raffreddamento è lento questa contrazione ha tempo di avvenire in modo tranquillo ma se il raffreddamento è rapido i tempi sono brevi e di conseguenza la cascata è globalmente più fragile. Un piccolo calcolo che prende in considerazione il coefficiente di dilatazione termica del ghiaccio dimostra che una variazione di temperatura di 10° impone alla struttura delle pressioni di 5MPa. (1 Megapascal MPa = 10,2 Kg/cm2 ). Fortunatamente il ghiaccio essendo un ottimo isolante fa sì che la temperatura si diffonda lentamente ed in questo modo diminuisce gli effetti di una variazione brutale della temperatura.

Qual è approssimativamente il peso di un metro cubo di ghiaccio?
Il peso del ghiaccio è di circa 1 Kg per decimetro cubo per cui fate voi un po' il conto…

Con il vostro studio avete individuato dove si situano i punti di debolezza di una stalattite?
Certamente le persone più competenti per rispondere a questa domanda sono i praticanti a condizione che abbiano una sufficiente esperienza per fare uno studio statistico ma sembra assodato che il punto di rottura si trovi nella parte alta del free standing in quanto tale zona è quella che supporta il peso della colonna.

Nelle stesse condizioni di temperatura e di umidità ma in differenti siti di lavoro il ghiaccio reagisce nello stesso modo? Pensate che i minerali in soluzione nell’acqua possano determinare delle differenze di resistenza?
Se ci interessiamo alla microstruttura del ghiaccio possiamo rispondere che sì, abbiamo trovato delle microstrutture molto somiglianti tra di loro se la storia delle temperature e la portata d’acqua sono le stesse. Ma non abbiamo ancora studiato abbastanza siti per gli altri parametri. Altrettanto non abbiamo rilevato la presenza di minerali in quantità tali da influenzare le proprietà del ghiaccio sulle cascate.

Avete quindi capito perché i free-standing talvolta esplodono o risulta essere praticamente impossibile capire il punto di “Non ritorno”, forse perché le variabili sono troppo numerose?
La risposta è in parte quella descritta precedentemente e cioè che una variazione brutale della temperatura può essere un fattore aggravante per la propagazione rapida delle fessure con una conseguente rottura completa. Ci sono sicuramente degli altri parametri ma questo è il solo che abbiamo isolato sino a questo momento.

Quindi la strada per arrivare a capire qual’è il colpo di piccozza fatale è ancora lunga...
Si è ancora lunga ma penso che i praticanti siano tutti d’accordo, ed io non credo di aver inventato nulla di nuovo, nel dire che se le temperature sono vicine allo 0 °C, il ghiaccio è “molle” e che quindi ci sono meno rischi di vedersi propagare una crepa tutta d’un colpo.

In conclusione in seguito al vostro studio secondo lei su cascata è bene essere più abili o più prudenti?
Attraverso i nostri studi non mi permetto di dare una risposta a questa domanda. Bisogna chiederlo ad esperti della scalata su cascate di ghiaccio come François Damilano che collabora con noi.




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