Everest 2003, report Golden jubilee - 3

Terza "puntata" della corrispondenza, dal Campo base sud dell'Everest, di Manuel Lugli.su fatti e uomini ai piedi dell'Everest.
Incrociando le dita per la prima "finestra" utile per la vetta (l'appuntamento previsto dal meteo è per il 13 e 14 maggio). Ecco la terza puntata di Manuel Lugli - della Everest Speed Expedition - sulla "vita" del "villaggio base", del versante nepalese dell'Everest. Tra fatti e personaggi, l'attesa e i sogni vanno alla cima, ma anche alla fortuna di essere lì, ai piedi dell'Everest, nonostante tutto.


EVEREST GOLDEN JUBILEE - 3
Campo base Everest - Nepal, 8 maggio 2003
di Manuel Lugli - foto Oscar Piazza


Movimenti & Meteo
Dopo giorni di vento furioso ad oltre 120-150 km/h, vento che ha devastato le tende ai campi alti e provocato grandi esodi verso il basso, le spedizioni hanno ripreso i loro movimenti verso l'alto. Sembra che una breve finestra - molto incerta peraltro - tra il 13 ed il 14, possa consentire i primi tentativi alla vetta. O meglio alle vette, visto che alcune spedizioni sono dirette al Lhotse. Il vero problema del momento è mettere assieme i dati delle varie previsioni meteo che spesso e volentieri non coincidono.
Allora vediamo. Il meteo degli amici francesi viene da Chamonix, sembra essere piuttosto attendibile e annuncia un regime di "jet stream", cioè di corrente a getto fino al 17 maggio. Traducendo, sarebbe a dire che si possono avere anche alcune mezze giornate in cui il vento crolla a zero, per poi riprendere a 150 km/h di punto in bianco. E magari in quel momento tu, alpinista fiducioso - o citrullo a seconda dei punti di vista - ti trovi a 8.500 metri di quota, già convinto di avercela fatta.
Dunque, siccome di un meteo solo conviene non fidarsi, vediamo anche le previsioni di AdventureWeather. sito specializzato in previsioni meteo per l'Everest, che elabora e diffonde modelli sulla base di dati raccolti in USA e Svezia. Sono previsioni abbastanza dettagliate e precise, con temperature e velocità del vento alle varie quote. Qui i dati sembrano dare qualche speranza in più - la famosa "finestrella" del 13-14 maggio - ma, ahimè, differiscono un po' da quelli di Chamonix…
Che fare? Fidarsi, non fidarsi, questo è il problema. I dati meteo in possesso della gloriosa spedizione militare indo-nepalese davano salita sicura per questi giorni, ma nonostante gli ordini impartiti agli uomini e… alla montagna, il Sagarmatha ha deciso per conto suo. Tutti giù.




Misteri dell' Everest
Per quasi tre giorni abbiamo assistito ad uno psico-fisicodramma lungo gli scivoli gelati del Lho La, 6.026 metri, l'impressionante passo che sovrasta il campo base e che conduce sul ghiacciaio di Rongbuk, e quindi in Tibet. Due (?) figurine - di cui nessuno conosce la provenienza - quasi si materializzano sui pendii ghiacciati salendo e scendendo negli orari più bislacchi, mettendo tende tra i seracchi, mentre i venti più violenti infuriano e tutto il campo base sta col naso all'insù a cercare di capire lo scopo di tutta quella pazzesca fatica. Sono giapponesi che salgono la cresta ovest. No, sono russi che vogliono sconfinare in Tibet clandestinamente. Anzi no, coreani che tentano una nuova via. Insomma, le ipotesi più fantasiose si accavallano, mentre il liason officer della spedizione militare pregusta già il momento in cui potrà mettere le grinfie sui due misteriosi personaggi. Al secondo giorno però, colpo di scena. Lungo il pendio superiore che conduce al passo sale un solo uomo, con fatica, portando uno zaino enorme. E l'altro alpinista? Illusione ottica o tragedia? Nessuno capisce.
Ma al terzo giorno lo stesso solitario alpinista riappare, ed inizia a ridiscendere lentamente verso il campo base. Filippo e Silvano, i nostri compagni gli vanno incontro per confortarlo con un poco di the. Quando lo raggiungono, lo trovano tranquillamente seduto alla base del pendio sotto il Lho La, a sorseggiare vodka e degustare salame piccante. E' decisamente russo e, dalle poche parole scambiate, si capisce che il nostro misterioso uomo sostiene di essere sempre stato solo in quei tre giorni, e di aver solamente voluto salire al passo per "guardare" in Tibet. Non la pensa alla stessa maniera il già citato liason officer della spedizione indo-nepalese che, assieme ad una trentina di sherpa curiosi, compare improvvisamente alle spalle dei nostri tre, e che con l'eloquente gesto del "tintinnar di manette", considera il povero russo un fuorilegge a tutti gli effetti e lo scorta verso il proprio campo per l'interrogatorio di rito. Avanti, march!
La storia in effetti è tutto, meno che chiara: dov'è l'altro alpinista? C'è mai stato? E' finito in Tibet, magari al campo base nord dell'Everest? Non si sa.
Ma un russo così, con un'attrezzatura come quella - stile anni '70 - con la forza ed il coraggio - o, per i più "bigotti", l'incoscienza - di muoversi tra seracchi pensili grandi come case popolari, meritava più rispetto e meno burocrazia. Altroché, se la meritava.





Personaggi
Pavel è un giovane slovacco, ma vive negli USA e, come molti "trapiantati" convinti, si sente più americano che slovacco. Potenza dell' "americanità" indotta, quasi uno sciroppone di felicità che ti integra meglio di ogni "green card". Pavel è francamente troppo loquace per i nostri gusti e ci investe con una serie di prestazioni alpinistiche, in giro per il mondo, che ci lasciano sostanzialmente indifferenti. Ma quando ci svela che tutto questo suo "alpinismo" è legato ad un fottuto reality show americano, stile "Survivors", che si chiama Global Extreme - od un'idiozia simile - e che prevede una serie di prestazioni sportivo-alpinistiche, la voglia di renderlo parte del paesaggio glaciale circostante si fa pressante. Non solo. Pavel ci dice anche che è stato "votato fuori", cioè eliminato dallo show. Un po' come accade in quell'altra fucina di cervelli che è il Grande Fratello.
Eliminato. E indovina da chi? Da Russel Bryce (sic!), che sarebbe uno dei giudici dello show, e che lo ha giudicato troppo individualista ed ambizioso. Ma non mi dire! Non sappiamo se ridere o piangere.
"Ma allora che accidenti ci fai qui, se ti hanno cacciato?" gli domandiamo. "Voglio raggiungere il campo base nord, dove sono gli altri membri-concorrenti, e provare lo stesso a salire", afferma.
La frontiera tra Nepal e Tibet è stata chiusa per la SARS proprio sabato. "Ma, se attraverso il Lho La, di là deve esserci il campo base nord, no?" ci domanda. Per un istante siamo tentati di dirgli che sì, è proprio così: basta salire il passo ed è fatta. Ma poi, in un assurdo impeto di pietas, gli mostriamo la carta dell'Everest, da cui si evince che il campo base nord non è proprio così "di là"; soprattutto per un "alpinista" come lui, senza piccozza, né ramponi, né imbrago, né tenda. Ci sono giusto una trentina di chilometri di Ghiacciaio di Rongbuk.
La delusione si dipinge sul suo volto. A quel punto un'idea diabolica ci attraversa. "Se vuoi puoi sempre attraversare il Nangpa La, il passo che collega Namche e la valle di Thame con il Tibet. Da secoli è la via di comunicazione e di scambio tra Tibet e Nepal, ma è riservata ai locali. Comunque, con un po' di fortuna, in quattro-cinque giorni potresti arrivare al campo base nord dell'Everest".
Mentre ci balena l'idea, già ce lo immaginiamo in un bel centro di qurantena SARS cinese, mentre chiede se gentilmente gli fanno vedere in TV l'ultima puntata di Global Extreme.

Casa
E' ormai quasi un mese che siamo al campo base e le nostre tende sono diventate la nostra casa. La grande tenda geodetica, che ci ospita durante le giornate di attesa del bel tempo o di riposo, è straordinariamente comoda. Tutti noi del team Everest Speed, veniamo da svariate esperienze di spedizioni, ed abbiamo sperimentato ogni tipo di tenda, tenda mensa, relax, deposito. Ma questa volta siamo veramente comodi. Qui possiamo mangiare, leggere, scrivere, inviare e-mail, ascoltare musica, insomma, fare tutto ciò che si fa a casa propria, senza troppi spifferi e con un freddo accettabile alla sera. Questa identificazione tenda-casa è la chiave per sopportare le lunghe settimane di campo base senza farsi prendere da nostalgie troppo violente. Bisogna farsi spiritualmente e fisicamente nomadi, recuperare il piacere del comfort essenziale: ciò che a casa è regola, qui è eccezione. Il cioccolato, il cappuccino liofilizzato, la cocacola o la birra. La pasta e la maionese, la bresaola ed il prosciutto o il parmigiano. Ne abbiamo in abbondanza, ma non sprechiamo. Degustiamo e ringraziamo gli dei della montagna - ed i muscoli di yak e portatori - per ciò che abbiamo qui. La notte, nel caldo del sacco a pelo, col ghiaccio che schiocca sotto la schiena e si muove piano come un dragone cinese, ci ricorda quanto siamo fortunati ad essere qui. Cima o non cima.

di Manuel Lugli

Nelle foto l'Icefall e la tenda del Campo base. (ph Oscar Piazza)

Portfolio
1° report dall'Everest 2003
2° report dall'Everest 2003
Manuel Lugli
news Everest
Meraldi e l'Everest
Everest speed expedition
"?QuizEverest" KAYLAND




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