Enrico Mosetti e lo sci nella Cordillera Blanca in Perù

Il racconto di Enrico Mosetti sul suo mese in Perù e le discese in sci dell' Artesonraju (6025m) e del Tocllaraju (6034m).
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Enrico Mosetti e Artesonraju (6025m), la montagna simbolo della Paramount Pictures ma anche"una delle montagne più belle sul pianeta dalle quali si può sciare dalla cima con continuità, forse seconda solo al Laila Peak."
Enrico Mosetti
Due discese di assoluto rilievo: la parete sud est dell'Artesonraju (6025 m) e la parete ovest del Tocllaraju (6034 m), due montagne simbolo del Perù e dello sci estremo mondiale. Infatti, mentre la prima era stata sciata per la prima volta da Patrick Vallencant nel 1978, la seconda era stata discesa in snowboard per la prima volta da Marco Siffredi nel 1998. Insomma, due mostri sacri. Era questo l’obiettivo, ambizioso ed estremamente affascinante, che si era prefissato Enrico Mosetti, l'aspirante guida alpina nato a Gorizia nel 1989 che la scorsa estate ha trascorso un mese da solo nella Cordillera Blanca, cercando di ricalcare la storia di questo sport alla ricerca della sua linea perfetta nella bellezza più pura del Perù.


UN MESE NELLA CORDILLERA BLANCA di Enrico Mosetti

"I'd rather be a sparrow than a snail". Mi piacerebbe essere un passero piuttosto che una lumaca. Per un mese sulle montagne della Cordillera Blanca in Perù mi canticchiavo questa strofa. Incarna perfettamente la maniera di muoversi, in autonomia, su quelle montagne. Da lumaca. Non solo la lentezza tipica del piccolo invertebrato, che fu il mio simbolo alla scuola materna, ma anche il portarsi appresso la propria casa e tutto ciò di cui si ha bisogno con essa: tenda, sacco a pelo, cibo, attrezzatura.

Ho scelto di muovermi da lumaca sulle montagne peruviane un po' per scelta un po' per necessità. Non si può pretendere di muoversi veloci e leggeri come sulle Alpi alle quote della Blanca (comprese tra i 4000 e i 600 metri), tanto più se l'idea è quella di sciare su e giù da quelle montagne. Questo significa doversi caricare sci e scarponi da sci sulle proprie spalle per i lunghi avvicinamenti e le scalate alle cime. Inoltre non amando sci leggeri e stretti, forse, lo ammetto più adatti ad una spedizione a quote così elevate, le assi che mi sono portato con me sono state le stesse che ho usato per tutto l'anno, poco più di quattro chili il paio. Questo ha contribuito a farmi sentire più lumaca durante le salite ma anche a provare la sensazione di essere passero per brevi ma interminabili istanti in discesa.

L'ultimo aspetto da considerare era la mia completa inesperienza per quanto riguarda l'alta quota, oltre i 4000 metri e le spedizione di lunga durata, per fortuna la Cordillera Blanca presenta una logistica piuttosto semplice e non così distante dalle nostre Alpi, fatta esclusione l'assenza di bivacchi, rifugi e impianti di risalita.

Quando ho lasciato l'Italia, il 28 maggio scorso, mi sentivo particolarmente allenato e fiducioso, ero appena tornata da una felice trasferta a Chamonix durante la quale avevo salito e sciato lo sperone della Brenva in compagnia di due amici inglesi (un inglese e uno scozzese), non avevo però idea di cosa mi aspettasse in Perù. Sopratutto non avevo un piano o un progetto preciso su come si sarebbe svolto il mio mese di permanenza in sud America. Gli unici obiettivi dichiarati erano la parete sud est dell'Artesonraju (6025m) e la discesa del Tocllaraju (6034m) o per una o un altra via, non avendo ancora capito quale fosse la via normale e le altre alternative sciabili. Il mio più grande apporto per reperire informazioni sulla sciabilità di una montagna è stato Google Earth... L'unica altra idea era quella di passare parte della spedizione in compagnia di due amici americani, Caroline Gleich e Rob Lea con la speranza di sciare qualcosa assieme.

In 22 ore di viaggio complessivo sono stato catapultato in un mondo che cominciava ai 3100 metri di quota di Huaraz, sette ore indietro e con il sud e il nord al contrario, il che ha creato non poca confusione ogni volta che dovevo studiare l'esposizione al sole di un pendio. Il giorno dopo il mio arrivo ho subito iniziato l'acclimatamento con una facile camminata fino ai 4500 metri di un bel lago blu. Sulle ali dell'entusiasmo il giorno dopo sono partito per la prima cima, scelta solo perché ben visibile dalla terrazza dell'ostello e apparentemente una bella linea da sciare.

Il Huamashraju è stata la mia prima vetta andina (5434 metri), nonché il punto più alto che avessi mai raggiunto, e il momento in cui ho realizzato che per un mese sarei stato lumaca e non passero. Senza muli e portatori solo raggiungere il campo a 4700 è stata una mezza impresa. La discesa lungo l'affilata cresta ovest e i più dolci pendii della via normale ho poi scoperto poter essere una prima discesa con gli sci, cosa della quale non mi sono particolarmente preoccupato. Di ritorno dalla montagna ho incontrato i miei amici Caroline e Rob e con loro stabilito di aspettare qualche giorno per poi partire alla volta di Pisco (5760 m) e Yanapaccha (5460 m).

La situazione non era così rosea: l'ultima settimana aveva nevicato parecchio e la stagione delle piogge stava inesorabilmente continuando, oltre al solito vento. Tutto questo ha portato una certa instabilità nei pendii, sopratutto quelli più ripidi e aperti, ovvero quelli che più desideravamo disegnare con le nostre curve. Per me si trattava solo di aspettare una settimana o poco più per avere pendii perfettamente ricoperti di neve e più sicuri, per Caroline e Rob aspettare un altr'anno.

I sei giorni passati in loro compagnia dal punto di vista alpinistico non sono stai dei migliori, i primi tre sono stato male io, i secondi Caroline, probabilmente a causa di qualcosa che abbiamo mangiato o bevuto. Questo purtroppo non ci ha permesso di sciare insieme. Sulla cima del Pisco infatti sono stato io a tirarmi indietro mentre sullo Yanapaccha è successo l'inverso. Sullo Yanapaccha ho dovuto a causa del tempo pessimo aspettare circa 40 minuti dentro la crepaccia terminale a cento metri dalla cima, dopo averla raggiunta, perché la visibilità era nulla e non permetteva una sciata sicura tra i seracchi e crepacci della parete ovest, scesa la prima volta agli inizi degli anni '80 da Jean Marc Boivin.

Completata al meglio la fase di acclimatamento e salutati i miei due compagni americani ho subito diretto le mie mire sulla montagna per la quale avevo attraversata mezzo mondo: l'Artesonraju. L'Artesonraju è conosciuto nel mondo per essere la montagna simbolo della Paramount Pictures. Nel mondo dello sci lo è per essere una delle montagne più belle sul pianeta dalle quali si può sciare dalla cima con continuità, forse seconda solo al Laila Peak. É una delle prima montagne fuori dalle Alpi che ha visto l'interesse di uno sciatore "estremo" (come si usava dire in quegli anni), Vallencant nel '78. Da allora è una delle linee più desiderate e meno ripetute al mondo.

Prima di partire e durante il viaggio ho parlato con diverse persone che hanno provato a sciare la parete sud est di questa bellissima piramide di ghiaccio e neve alta poco più di seimila metri. La maggior parte di loro aveva fallito nel tentativo e negli ultimi dieci anni decine tra i migliori sciatori al mondo hanno avuto la stessa sorte, chi per le condizioni atmosferiche chi per quelle della neve, chi non ha più fatto ritorno a valle.

Io volevo provarci il prima possibile per avere eventualmente tempo per una secondo tentativo. Per fortuna non c'è ne stato bisogno, non so se avrei avuto la voglia per ripercorre la lunga quebrada Paron e risalire la morena fino a 4800 metri dove si trovano le migliori piazzole per il campo. Il giorno della cima mi ci sono volute circa otto ore e mezza per raggiungere la cima, mentre per la discesa meno di trenta minuti.

Il concetto della prima strofa de "El condor pasa" espressa al meglio. Fino al momento di calzare gli sci la lentezza e la pazienza hanno sopraffatto qualsiasi altro desiderio potessi avere. A 5500 metri ho iniziato a contare i passi per regolarizzare il ritmo: sulla Brenva al Monte Bianco contavo 200, qui ho iniziato con 75 per finire sotto la cima a 30. Una volta messi gli sci è bastato smettere di contare e pensare e lasciare il corpo fare quello che ha imparato negli ultimi 24 anni.

Tornato dall'Artesonraju, rimaneva l'altro "obiettivo dichiarato", il Tocllaraju. Durante la mia permanenza in Perù ho avuto modo di capire quale era la via normale e le altre sciabili, una su tutte per me era la cresta sud ovest, opposta alla normale, scesa la prima volta da Marco Siffredi una quindicina d'anni fa. Durante la mia permanenza però sul Toclla, come lo chiamano i locali, sono morti tre estoni inghiottiti da un crepaccio ancora parzialmente nascosto dalla neve. La cosa mi ha creato non pochi dubbi, muoversi da solo su un ghiacciaio di base non mi piace. Farlo all'altro capo del mondo senza la minima possibilità di soccorso ancora meno.

Raccolte le ultime energie, e le ultime provviste sono partito alla volta della quebrada Ishinca, circa quindici chilometri quasi totalmente piani per raggiungere il campo base a 4400 metri di quota. Qui ho la piacevole conoscenza di Florian e Sandra, due ragazzi austriaci, lei dell'Arlberg, lui della vicina Carinzia. Arrivato al campo però ho avuto la spiacevole sorpresa di un enorme seracco che interrompeva la mia desiderata cresta sud ovest, sciabile senza dubbio ma solo con l'uso della corda, cosa alla quale non avrei voluto ricorrere se non per emergenza. Quindi nell'ottica di una discesa pulita ho diretto i miei sci alla parete ovest, uno scivolo fatto di "spines" e "flutes", solitamente una parete di solo ghiaccio, ma la buona stagione ha permesso alla neve di appiccicarsi al ghiaccio nero creando questa rara possibilità di discesa, colta una sola volta nel 2004 da Jaime Laidlow.

Questa volta grazie all'ormai ottimo acclimamento la salita non è stata particolarmente lunga e la discesa nonostante la neve dura e l'esposizione è passata in poco più di mezz'ora, anche il salto della terminale aperta e piuttosto alta non è stato troppo problematico, la realtà della lumaca è tornata però prepotente al momento di dover ricaricare lo zaino di tenda, sacco a pelo, sci, scarponi, corda, ecc... per tornare dal campo a 5100m al campo base.

La Cordillera Blanca è la casa di alcune delle più belle montagne che si possano immaginare, montagne più simili a meringhe che ad ammassi di roccia e ghiaccio, di alcune delle più belle e più difficili montagne al mondo da sciare, ma di sicuro non sono un posto adatto allo sci. Sono un posto adatto alle lumache, che sognano di essere passero anche se solo per l'istante di una curva.

Enrico ringrazia Black Crows e Revo per il supporto






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