We Are Alps #2: un viaggio nel cambiamento climatico

We Are Alps: un viaggio nel cambiamento climatico lungo l'arco alpino insieme alla Convenzione delle Alpi / Parte seconda. Ricerca in Alta quota: La Jungfrau e Zugspitze: in cima alla Germania. Di Simonetta Radice.
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crepacci sull'Aletcsh
Simonetta Radice
Ricerca in Alta quota: La Jungfrau
Quando i fratelli Meyer, il 3 agosto del 1811, raggiunsero per primi la vetta della Jungfrau, non pensarono certo che l'area sottostante a questa splendida montagna sarebbe diventata una meta turistica di massa nonché la sede di una delle più importanti stazioni di ricerca scientifica a livello Europeo. Queste due destinazioni sono in realtà più legate di quanto non si possa pensare, perché il permesso di costruire la ferrovia della Jungfrau fu accordato a Adolf Guyer-Zeller solo a patto di dare tutto il supporto necessario alla costruzione della stazione scientifica. Essa fu inaugurata il 4 luglio 1931 mentre nel 1937 venne completato l'osservatorio Sphynx. che, da subito, divenne un importante centro di ricerca internazionale con scienziati provenienti da tutto il mondo. Del resto, attività di ricerca scientifica sulla Jungfrau se ne faceva fin dalla metà dell'800, contando su strutture di supporto molto più rudimentali che permisero però di raccogliere una serie di dati estremamente preziosi proprio perché a lungo termine.

Il nostro viaggio dedicato allo studio del cambiamento climatico sull'arco alpino – We Are Alps - prosegue proprio qui, su quello che qui tutti chiamano "Top of Europe", per indicare la stazione ferroviaria più alta d'Europa a 3454 metri di quota. Per questa giornata ci farà da guida Erwin Fluckinger, Direttore della Stazione di Ricerca.

Dalla terrazza dell'osservatorio, è possibile ammirare in tutta la sua vastità il ghiacciaio dell'Aletsch, le cui variazioni nel tempo sono uno dei primi indicatori del cambiamento climatico. L'evoluzione del ghiacciaio dell'Aletsch è tra le meglio documentate al mondo. Tra il 1350 e il 1250 a.C la sua lunghezza era di circa 1km inferiore a quella attuale, in seguito iniziò a crescere per raggiungere le dimensioni massime attorno al 1860. La prima mappa dettagliata della topografia della sua superficie risale al 1880. Altre due mappe topografiche ad alta precisione che comprendevano l'intero bacino glaciale con il suo sistema di ramificazioni hanno permesso di documentare lo stato del ghiacciaio dal 1927 al 1957. Queste mappe sono state in seguito aggiornate da analisi fotogrammetriche periodiche attraverso lo scatto di fotografie aeree dal 1980 al 2009. E' stato così possibile rilevare un ritiro del ghiacciaio di circa 2,6 km, pari a una perdita di massa di 50 metri d'acqua equivalenti.

Grazie alla quota particolarmente elevata, la Jungfraujoch è stata anche importante sede di studio dello spettro solare e dei gas serra. Nel 1975, lo scienziato belga Rodolphe Zander rilevò per primo la presenza di acido fluoridrico nell'atmosfera, aprendo così allo studio dei cloro fluoro carburi e del loro impatto sul'ozono. “Per quantificare e capire l'impatto dell'attività dell'uomo sull'ozono è necessario monitorare molti gas e lo spettrometro a raggi infrarossi della Jungfraujoch permette di monitorarne almeno 20” Dice Fluckinger “Dalle misurazioni qui effettuate è emerso che la quantità di clorina - tra i principali responsabili della distruzione dell'ozono - presente nella stratosfera è cresciuta fino significativamente per decenni fino al 1996, sette anni dopo l'entrata in vigore del protocollo di Montreal, anno a partire dal quale si è leggermente ridotta a un tasso dell'1% anno su anno.”

Il monitoraggio del bilancio energetico terrestre è un altro dei programmi di ricerca compiuti alla Jungfraujoch. Per bilancio energetico si intende il rapporto esistente tra l’energia ricevuta dalla Terra dal Sole e quella riflessa e nuovamente emessa nello spazio da parte della terra. I gas serra prodotti da attività umane, l’areosol atmosferico – l’insieme di particelle e corpuscoli in sospensione all’interno dell’atmosfera di origine diversa – e l’alterazione dell’albedo della superficie terrestre dovuta ad attività umane sono tra i principali fattori che influiscono sul bilancio energetico del nostro pianeta e, per capire e controllare i cambiamenti climatici è necessaria un’attentissima valutazione di tutti questi fenomeni. I gas serra come vapore acqueo, diossido di carbonio, metano e altri causano il riscaldamento dell’atmosfera e della superficie della terra assorbendo le radiazioni a onda lunga e riemettendole parzialmente verso la superficie della terra. L’areosol, invece, agisce in senso inverso raffreddando l’atmosfera e incide sull’equilibrio energetico sia direttamente, riflettendo la radiazione solare e terrestre, sia indirettamente, influenzando la formazione, le proprietà ottiche e la vita delle nubi. Le incertezze nella valutazione del suo effetto sul cambiamento climatico dipendono essenzialmente dall’alto grado di variabilità della distribuzione delle particelle nello spazio e nel tempo e dalle altrettanto variabili proprietà chimiche, fisiche e ottiche delle particelle stesse. In particolare è difficile valutare il loro effetto indiretto, per via della complessità del processo di formazione delle nubi.

Le nubi sono un elemento fondamentale per la regolazione della temperatura terrestre perché riflettono le radiazioni a corto raggio del sole nello spazio (effetto raffreddante) e assorbono quelle a lungo raggio dalla superficie della Terra (effetto riscaldante). In qualsiasi momento, circa il 60% della superficie della terra è coperto da nubi. Il substrato dell’areosol atmosferico è indispensabile per la formazione delle nubi, in quanto la sospensione delle particelle offre una superficie su cui la condensa del vapore acqueo può adagiarsi in condizioni di umidità relativa superiore al 100%. Le particelle che compongono il sostrato di areosol che porta alla formazione delle nubi sono chiamate Cloud Condensation Nuclei. Un aumento del numero di queste particelle causato dall’attività umana porta a un incremento del numero delle gocce, ma anche a una diminuzione delle loro dimensioni. Le nubi generate da questo processo riflettono la luce del sole in maniera ancora più efficace, raffreddando ulteriormente l’atmosfera sulle zone industrializzate. Lo studio delle nubi è un work in progress di fondamentale importanza per capire e predire il cambiamento climatico e la Jungraujoch ha condotto e continua a portare avanti studi di ricerca in questo senso.

Zugspitze: in cima alla Germania
La Jungfraujoch, però, non è l’unica stazione di ricerca scientifica ad alta quota che abbiamo avuto modo di vistare nel corso di We are Alps 2015. Il nostro viaggio si è infatti concluso sulla vetta più alta della Germania, la Zugspitze (2962 m).

La storia di questa montagna è legata alla scienza fin dalle origini. Fu infatti scalata per la prima volta il 27 agosto 1820 da Joseph Nau, luogotenente dell’esercito di Re Massimiliano, con l’obiettivo di compilare una mappa il più possibile precisa del confine tra Germania e Austria. Il primo rifugio in vetta alla Zugspitze, il Münchner Haus, aprì nel 1897 e nel 1900 la stazione meteo iniziò il suo lavoro. Il primo scienziato presente, Josef Enzensperger, era costretto a trascorrere lassù l’inverno in pieno isolamento in quanto la montagna non era raggiungibile nella stagione fredda.

L’hotel Schneefernerhaus aprì il 20 gennaio 1931 dopo che la vetta era diventata raggiungibile sia da parte austriaca, grazie alla costruzione della funivia, sia da parte tedesca, con la realizzazione della ferrovia della Zugsptize. Ma il 15 maggio 1965 una grossa valanga si abbatté sulla struttura, con il pesante bilancio di dieci morti e ottanta feriti. Questo tragico episodio decretò il declino e la fine dell’hotel, che fu in seguito riconvertito in un centro per la ricerca scientifica su altitudine, clima e ambiente in Baviera. L’attuale stazione scientifica, che dell’hotel mantenne il nome, “Schneefernerhaus”, fu inaugurata il 12 maggio 1999, oggi è gestita da un consorzio di dieci tra i principali istituti scientifici tedeschi e segue diversi programmi focalizzati sullo studio dell’atmosfera, del clima, della radiazione cosmica, della dinamica delle nubi e altre discipline ancora.

Tra i progetti che vengono portati avanti è particolarmente interessante quello che studia le onde gravitazionali e gli infrasuoni emessi dai cicloni. La conoscenza del contenuto energetico di un ciclone è importante per capirne l’intensità e per tracciarlo. Il progetto CESAR indaga il cosiddetto “contenuto energetico differenziale” che può essere registrato nella stratosfera. Attraverso l’osservazione della dinamica delle onde atmosferiche con misurazioni basate su radiosonde, spettrometri e satelliti. Dal 2008 al 2025 è previsto che circa cento strumenti satellitari monitoreranno l’atmosfera della terra. Nelle stazioni di ricerca ad alta quota vengono anche condotti studi di medicina. La quota della stazione di ricerca, 2650 m, è quella al di sopra della quale una persona in buona saluta deve acclimatarsi per un soggiorno lungo. Chi soffre di problemi cardiaci o polmonari a questa altezza può già manifestare sintomi. La pressione atmosferica all’altezza della stazione di ricerca è la medesima di un aereo commerciale e questo fa della Schneefernerhaus il luogo ideale per studi legati all’acclimatamento, per le performance in quota, la regolazione del respiro, il metabolismo e l’effetto del clima sulle manifestazioni delle malattie. Data la sua lontananza da fonti di inquinamento naturale e umano e dai pollini, la stazione è il luogo ideale per lo studio relativo agli effetti del cambiamento climatico su pazienti malati di asma e altre sindromi allergiche.

Il nostro viaggio si è concluso in cima alla Zugspitze alla presenza del ministro federale tedesco per l’ambiente Barbara Hendricks e del ministro per l’ambiente bavarese Ulrike Scharf che hanno voluto essere con noi per la giornata conclusiva di We Are Alps.

La Germania detiene attualmente la presidenza della Convenzione delle Alpi e i ministri hanno voluto sottolineare il loro impegno nei confronti del cambiamento climatico. “Uno studio della Federal Environment Agency ha dimostrato che, mantendo invariato l’attuale livello di emissioni, si rischia un ulteriore incremento della temperatura da 3 a 5 gradi in estate e da 4 a 6 in inverno entro la fine di questo secolo. Credo che la regione alpina abbia in sé il potenziale di diventare un’area modello per quanto riguarda il cambiamento climatico e la Germania vuole che ciò accada, non solo durante la sua presidenza. Un’economia più verde è il nostro obiettivo e questo può avere molti significati: dalla costruzione di edifici a energia zero, al turismo sostenibile a piani cittadini per il clima. Guardando alla prossima conferenza di Parigi, vogliamo che tutti i governi decidano di intraprendere un percorso che privilegi le basse emissioni e un’attenzione particolare per il clima con obiettivi ambiziosi, senza dimenticare chiari segnali di solidarietà nei confronti dei paesi in via di sviluppo che sono maggiormente colpiti dagli effetti del cambiamento climatico.”

E se gli effetti del cambiamento climatico possono avere un impatto devastante a livello economico sociale sui Paesi in via di sviluppo, possono anche ridurre in povertà un Paese inasprendo le sue condizioni sociali. È ciò che è accaduto in Siria, dove negli ultimi 5 anni si è assistito a una siccità senza precedenti che ha ucciso l’85% del bestiame, reso aridi e sterli immense distese di campi coltivati e costretto oltre un milione di persone ad abbandonare le aree rurali per riversarsi nelle grandi città dove l’aumento del costo dei generi alimentari e la mancanza di lavoro ha causato un pesante inasprimento delle tensioni sociali. Ho voluto concludere il mio racconto di viaggio con questo accenno alla Siria semplicemente per far capire che il lavoro degli scienziati arroccati nelle stazioni d’alta quota non è qualcosa di avulso dalla nostra vita quotidiana. Se il minimo battito di ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo, la comprensione del cambiamento climatico potrà aiutarci a contenere i suoi effetti potenzialmente devastanti? Le Alpi, osservatorio privilegiato di queste dinamiche, saranno il terreno di gioco di questa partita.

(Per leggere il blog quotidiano del viaggio potete cliccare qui)

Simonetta Radice

We Are Alps #1: un viaggio nel cambiamento climatico



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