Coffee Break #15 - Il vuoto sotto

Daniela Zangrando per il suo Coffee Break #15 intervista Sergio Ramella alpinista da una vita e curatore del sito www.ramellasergio.it. Tra la memoria e il presente di un alpinismo fatto di passione.
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In cima al Civetta alla fine della via Philipp-Flamm
archive Sergio Ramella
Daniela Zangrando: http://www.ramellasergio.it è un grande archivio. Preciso. Puntuale. Ricco. E anche più. Innamorato. Come si è costruito il sito? Come hai raccolto e ordinato i materiali?
Sergio Ramella: Nella mia vita ho percorso una grande quantità e qualità di vie. Ad un certo punto alcuni amici mi hanno consigliato di pubblicare un libro sulla mia attività alpinistica, ma non me la sono sentita. Avendo una cultura tecnica, e non di matrice classica, pensavo che non sarei riuscito a scrivere un libro interessante. Allora ho deciso di dar vita ad un sito web che raggruppasse foto, relazioni, tracciati e schizzi delle vie principali che avevo percorso e delle quali avevo fotografie accettabili. Una volta completato il lavoro, mi sono reso conto che mancavano all’appello ancora tante vie da recensire. Non le avevo magari salite io, ma le offrivano le pareti. Ho ottenuto le referenze di amici alpinisti, di guide alpine, etc. e ho pian piano ampliato le informazioni del sito. Ovviamente ho dovuto anche imparare a costruire un sito web e di questo devo ringraziare per l’aiuto gli amici Bonizzoli e Cellini. È stato un lavoro duro, molto lungo e a volte noioso, che ha comportato diversi passaggi, aggiornamenti e migliorie.

D.Z.: Quando è nata la tua passione per la montagna e per l’arrampicata? Ricordi il punto di partenza?
S.R.: La mia passione per la montagna arriva dall’infanzia. Essendo mia madre di San Pietro di Cadore, da bambino ho trascorso tutte le vacanze estive in montagna facendo escursioni su sentieri e per boschi. Quando alzavo la testa, vedevo cime e pareti imponenti che mi incantavano e non potevo fare a meno di chiedermi come fare a salirle.
Attorno ai vent’anni mi sono iscritto al locale C.A.I e lì ho conosciuto un alpinista molto bravo, Gigi Grana, e un altro di cui adesso non ricordo il nome, un accademico. Questi due alpinisti hanno portato me e un amico, Lucio Arduino, a scalare sulla vicina Grignetta insegnandoci la tecnica, le sicure, i nodi e le modalità di discesa. Io e Lucio abbiamo poi provato da soli a ripetere le stesse vie e abbiamo gradualmente iniziato a fare anche delle vie diverse, con difficoltà e gradi sempre più elevati. Devo ricordarti che parlo degli anni Sessanta... quelli degli scarponi pesanti e scomodi, delle corde inadeguate, dei moschettoni di alluminio normale, pesanti e inaffidabili, quelli della poca presenza di chiodi... i chiodi che esistevano erano solo di alcuni formati e molto costosi, per non parlare delle protezioni veloci che non esistevano proprio! In quegli anni arrampicare era veramente pericoloso e si rischiava la vita in caso di volo. Stavo delle ore col binocolo a osservare la parete per vedere dove saliva la via, trovare i punti difficili, vedere se c'erano eventuali vie di uscita o alternative. Sarà per l'adrenalina, per il gusto dell'avventura, per il rispetto e la considerazione che c'era tra alpinisti e non che si proseguiva a fare sempre cose più rischiose tanto da creare una specie di dipendenza che ci impediva di smettere anche quando si provavano degli spaventi e si incorreva in grandi rischi.
L’arrampicata aveva su di noi l’effetto di una droga. Pareva di poterne solo aumentare la dose. Visto come ho vissuto in quel periodo, mi ritengo fortunato di essere ancora qui a raccontarvi le mie esperienze, di non avere fatto voli importanti e soprattutto di non essermi mai ferito in modo serio.
Ma torniamo al percorso... Inizialmente, negli anni 1965 e ‘66 con Lucio ci siamo dedicati alle alte montagne e abbiamo percorso tutti i nostri Quattromila, con un’avventura indimenticabile sul Cervino. Nel 1966 con Ugo Banfi ho salito lo Spigolo del Velo sulle Pale di San Martino. Nel 1967, sempre con Lucio, siamo stati alle prese con tre exploit in Dolomiti: Spigolo Giallo in Lavaredo, Armani al Croz dell'Altissimo e la Bhul alla Roda di Vael. Nel 1980 sono passato dagli scarponi alle scarpette, che presupponevano un cambio di modo di arrampicare, anche se risultavano nettamente più efficaci e facevano guadagnare quasi un grado di difficoltà. A partire dal 1983 posso dire che è iniziata la mia maturità alpinistica. Da quell’anno al 2004 ho inanellato una serie di salite di sesto grado e non ho mai smesso di arrampicare, completando un quarantennio di continua attività. Per altre storie, notizie e particolari, non ti resta che cercare nel sito.

D.Z.: Arrampichi ancora?
S.R.: Attualmente, a 72 anni, non arrampico più in montagna per via delle gambe e del fiato, ma solo in falesie e non con l'intensità del passato. Per via del poco allenamento e della scarsa motivazione, ora faccio solo il 6a. Dal 2004 a oggi posso ho però percorso quasi tutte le vie delle falesie del lecchese e del comasco, con difficoltà fino al 6c.

D.Z.: La scheggia di una via importante...
S.R.: Non riesco a selezionarne una in particolare. Ricordo però che una volta ero quasi in cima al Sassolungo, lungo la via della Rampa, ed ero veramente stanco. Stavo cadendo. Ad un certo punto ho sentito distintamente un grande calcio nel sedere che mi ha “svegliato”... mi sono trovato più in alto di qualche metro e quello spintone mi ha permesso di superare l’inghippo. Posso anche dirti che all’attacco di tutte le vie ho pregato e che più di una volta ho sentito la presenza di un mio angelo custode, che in qualche caso è stato determinante.
Anche se non saprei parlarti di una vera e propria scheggia, posso raggruppare alcune vie che ho fatto e che sono state significative per diversi motivi. Tra queste, quella che ricordo come la mia più grande realizzazione fisico-atletica è stata la via Philipp-Flamm alla Nord del Civetta, salita in dodici ore nel 1986. Tra le vie più difficili, ci sono sicuramente la Hasse-Blandler alla Nord della Grande delle Lavaredo, la Maffei-Leoni al Sasso delle Undici, la Paolo VI alla Tofana di Rozes e lo Spigolo Strobel alla Rocchetta di Bosconero. La Cassin alla Cima Ovest di Lavaredo è stata una via con gli incubi. Decisamente. La notte seguente la salita ho sognato un volo infinito che terminava con un tremendo strattone che mi lasciava senza fiato. E poi ci sono state vie che hanno comportato grandi rischi (sul Cervino, e anche la Tissi alla Torre Trieste per la grande nebbia e la Via delle Guide al Crozzon di Brenta), vie con dei voli (Cassin alla Torre Trieste, Paolo VI alla Tofana di Rozes, Hasse-Blandler in Lavaredo) e vie molto difficili e altrettanto belle (Gogna e Soldà in Marmolada, Carlesso e Cassin in Torre Trieste, Comici alla Grande e Piccola di Lavaredo, Cassin alla Piccolissima di Lavaredo, Spigolo Strobel alla Rocchetta di Bosconero, Steger al Catinaccio, Eisenstecken e Maestri a Roda di Vael, Lacedelli e Fachiri a Cima Scotoni, Costantini-Apollonio e Paolo VI alla Tofana di Rozes, Solleder al Sass Maor, Mayerl al Sasso della Croce, Detassis in Brenta Alta, Via delle Guide al Crozzon di Brenta, via Concordia alla Cima d’Ambiez, vie Ratti, Tissi e Andrich alla Torre Venezia, etc.). Alla fine, cito una via che considero per me come “storica”. È lo Spigolo Giallo alla Cima Piccola delle Lavaredo, salita nel 1967. Come si può vedere dalla fotografia di vetta, ho indosso l’antesignano dei moderni imbraghi: un grande cinturone di pelle per le selle dei cavalli, che avevo ideato e fatto confezionare da un sellaio di Saronno.

D.Z.: A volte bisogna rinunciare. Tornare indietro.
S.R.: La testardaggine, l'eccessiva valutazione di se stessi o l'errata comprensione delle condizioni possono creare delle situazioni di pericolo… è buona norma capire quando è il caso di lasciar perdere. So che è dura, dopo tanta fatica, dover tornare indietro, ma è salvifico per evitare che quella che si sta vivendo sia l'ultima avventura. A volte però devo ammettere che è davvero complicato capire quando le condizioni possono diventare pericolose... purtroppo la conoscenza si crea in un ampio lasso di tempo, esperienza dopo esperienza.

D.Z.: Qual è il limite?
S.R.: Il limite non è un valore assoluto, è relativo. L'importante è essere tanto grandi da capire fino a che difficoltà o rischio ci si può personalmente esporre. Occorre analizzarsi a fondo, senza buonismo... meglio deficere che abundare!

D.Z.: La “tua” montagna. Disegnala brevemente.
S.R.: Le mie montagne ideali sono le Dolomiti. Oltre alla incomparabile bellezza, offrono delle pareti mozzafiato e una scelta ampia di vie, con attacchi brevi o sopportabili. Gli ambienti che ritengo migliori da vari punti di vista sono: Tre Cime di Lavaredo Pareti Nord, Marmolada Parete Sud, Tofane, Roda di Vael, Civetta, Torre Trieste e Venezia. Le montagne di granito esigono un’arrampicata di aderenza che presuppone un’abitudine e un allenamento particolare, che mi corrispondono meno. Credo che le “Nostre Alte Montagne” siano molto interessanti, ma costano tanta fatica fisica e sono aleatorie perché estremamente mutevoli. Non presentano mai condizioni uguali a se stesse e questo le rende insidiose, pericolose. Per quanto riguarda poi le spedizioni sugli Ottomila, se fatte con sherpa e corde fisse, non mi affascinano per nulla e sono portato a pensare che siano state interessanti solo per chi le ha percorse per primo o per chi le ha salite in puro stile alpino.

D.Z.: Raccontami la montagna che ancora non hai scalato. Che è ancora lì, nella bolla di un sogno.
S.R.: Quando mi sono ritirato mi sentivo perfettamente soddisfatto di quello che avevo fatto e non desideravo altre pareti o vie da percorrere. La montagna che non ho ancora scalato è il Paradiso… per questa vetta temo non bastino la tecnica, la forza, il coraggio, ma occorrano doti spirituali, tanta credenza e costanza. Il curriculum alpinistico non è sicuramente sufficiente.

D.Z.: Cosa porterai con te delle montagne?
S.R.: L’alpinismo mi ha dato molto: la convinzione in me stesso, uno svago, uno stress che ha combattuto altro stress derivante dalla vita, un sogno e uno scopo, la convinzione che non esistono degli obiettivi facili, ma che per raggiungere qualsiasi meta occorre costanza, sacrificio e determinazione. Si è mostrato come scuola di vita, imponendomi di tenere un comportamento simile a quello di un “vero atleta”, senza esagerazioni e trasgressioni. Mi ha mostrato come rispettare la natura e la montagna, così come il prossimo. È anche stato per me un ideale... perché l’uomo non vive di solo pane e della triste realtà. Con me porto la soddisfazione, i ricordi delle realizzazioni, le paure e l'euforia che si provano durante le arrampicate, le belle e felici giornate passate in compagnia di amici in un ambiente unico, gli stupendi panorami, il vuoto sotto.

Sergio Ramella è un alpinista. Ha realizzato il sito web http://www.ramellasergio.it che contiene descrizioni, schizzi e foto di circa ottocento itinerari alpinistici.

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