Coffee Break #14 - Il tetto del Chogolisa

Tra forma, storia e immaginario della montagna. Daniela Zangrando per il suo Coffee Break #14 intervista Maxime Guitton responsabile del “Soutien à la création” al Centro nazionale d’arti plastiche (CNAP) a Parigi.
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Coffee break #14 - Il tetto del Chogolisa
Aitor Las Hayas' / Immagini a cura di Maxime Guitton
Daniela Zangrando: La tua relazione con le montagne.
Maxime Guitton: Il rapporto che ho con le montagne ha certamente a che fare con la mia educazione e con il mio essere un "cittadino". Essendo cresciuto nel profondo nord della Francia, dove il territorio è invariabilmente piatto, ho avuto la possibilità di sciare e fare escursioni durante tutta l’infanzia, circa due volte l’anno, e questo ha sicuramente nutrito un gusto per la montagna, senza che quasi me ne accorgessi.
Ad un certo punto, dopo anni di vita trascorsi a Parigi senza frequentare le montagne e fare attività all’aperto di nessun tipo, ricordo di aver sentito il bisogno urgente e fisico di riconnettermi con le Alpi e i Pirenei, le due catene montuose che conoscevo. Da allora ogni estate vado a fare delle escursioni con gli amici e, sentendomi un po’ intrappolato nella mia vita quotidiana parigina, ho instaurato una sorta di legame letterario e iconografico con le montagne.
Per descrivere meglio questo rapporto, potrei dire che si tratta di qualcosa di incompleto, o meglio, di un legame che in parte è radicato nell’esperienza e in parte fantasticato: non scalo, non faccio arrampicata su ghiaccio e, consapevole delle mie capacità, mi sento molto più a mio agio con le escursioni. La maggior parte delle mie letture, dei miei interessi e del mio lavoro – come curatore e organizzatore – sono invece incentrati sull’alpinismo vero e proprio, in particolare sulla storia dell’alpinismo. È come se separassi la mia esperienza e la mia conoscenza della montagna in diversi campi, livelli e settori: trovo rassicurante tenere a mente che ci sono montagne, cime e creste di cui so molto di più di quello che avrei potuto conoscere mettendoci sopra mani e piedi. Lascio che a far queste cose siano gli alpinisti, gli esploratori.
Uso la parola "rassicurante" come in ogni altro mio interesse intellettuale e culturale, quando so che non posso evitare di farne qualcosa: il "materiale" che raccolgo nei libri, nei film, etc. ha bisogno di essere convertito, di prendere forma in scritti, conferenze, programmi, entusiasmi. Per quanto posso, cerco di tenermi alla larga da qualsiasi forma di "accaparramento" sterile ed enciclopedico di informazioni e di trasformare quello che trovo in un’attività sociale di cui possano eventualmente beneficiare anche altre persone.

D.Z.: Mi hai detto che hai iniziato "leggendo un sacco e guardando documentari e film sulle montagne"… e mi hai fatto venire in mente che ho passato un’intera estate nella soffitta di mia mamma a leggere diari di scalatori, storie d’alpinismo, biografie, note storiche, ... Penso anche a Werner Herzog, a vecchi documentari, a immagini e video. Cosa stai cercando?
M.G.: Sostanzialmente, penso che quello che sto cercando siano i punti che mi permettano di disegnare delle linee e eventualmente di mappare una fitta rete di fatti. È un taglio che deriva sicuramente del mio background di studente di storia. La verità è che sono attratto dal lasciar spazio alla prospettiva, alla distanza storica. Quello che però ha recentemente guidato il mio interesse sulla montagna è legato ad un approccio pragmatico, se posso pomposamente chiamarlo in questo modo. Cioè un approccio che, per quanto ancora informato dalla storia, provi a collegare le montagne – lette come un insieme di fatti geologici/storici/culturali – con l’esperienza umana.
Sono soprattutto interessato a quello che delle montagne fanno gli uomini: gli uomini dipingono, disegnano e fotografano le montagne, scrivono di loro, costruiscono storie e miti, le scalano, sognano, studiano, collezionano dati che le riguardano. A volte vengono uccisi da loro.
Ultimamente ho lavorato al caso specifico dell’Eigerwand, il famigerato volto a Nord Ovest dell’Eiger, nell’Oberland bernese. Tra i miei pensieri, l’Eigerwand esemplifica come una montagna possa mettere in movimento degli artefatti culturali – la faccia Nord Ovest è stata demonizzata, enfatizzata, romanzata da disegni, racconti, leggende, resoconti giornalistici, libri d’alpinismo, etc. – e mette in evidenza per contro, in un loop retroattivo, come le montagne romanzate abbiano tangibili e a volte anche tragici riscontri sulle vite umane. In un certo senso, gli uomini si costruiscono un’immagine delle montagne, ma in fin dei conti sono irrimediabilmente sedotti da loro. È anche interessante esaminare come questo aspetto narrativo abbia un effetto destinato a persistere fino ad oggi, anche se ad esempio l’Eigerwand ha ora a malapena a che vedere con quella faccia mostruosa che ha rappresentato.

D.Z.: Sembra che l’alpinismo abbia qualcosa a che fare con il passato. A volte si guarda alle montagne come al riflesso di "un altro tempo". Ma io penso ci sia qualcosa, in tutto questo, di necessariamente contemporaneo. Sei appena stato alla Biennale di Venezia. E poi tra le Dolomiti. Forse puoi intravedere qualcosa di più su questo argomento.
M.G.: Qualunque possa essere la mia naturale inclinazione per la storia, le montagne hanno sicuramente a che fare con il passato, e sono dei promemoria brutali, magnifici ed umilianti dei tempi geologici e storici, ovvero sono scale di tempo che superano un’esperienza di vita. Premesso questo, come dicevo prima, le montagne hanno delle conseguenze sulle vite delle persone, sulle credenze, sui modi di esprimersi e di interrogare il mondo. Non è quindi una sorpresa se ragionano con il tempo presente, e con gli artisti contemporanei. Anche se con molta precauzione, tendo a interpretare questo interesse di una nuova generazione di artisti nei confronti della montagna attraverso il filtro del cambiamento climatico, di un crescente interesse per gli studi sull’era antropocenica, di una rinnovata attenzione alla rappresentazione di paesaggi e panorami, una fascinazione per modelli geologici, mineralogici, geografici e cartografici – che è un approccio a impollinazione incrociata tra arte e scienza. Può sembrare aneddotico, ma hai notato quanti cambi semantici l’arte contemporanea ha operato farfugliando in questi ultimi anni? Per esempio, molti artisti non mettono più "in discussione la storia", ma piuttosto esplorano "l’archeologia" o scavano gli strati di senso sepolti nel nostro tempo presente (e futuro).
È come se gli artisti fossero tentati di andare più in profondità, di guardare più indietro nel tempo, e di tanto in tanto più in alto, per capire meglio il mondo contemporaneo. In questo senso, le montagne possono essere un playground perfetto per questi artisti.

D.Z.: Raccontami la "tua montagna". Disegnala.
M.G.: Se le montagne fossero un provider di forme, un repertorio di figure che tendo a visualizzare, direi che ci sono dei tipi di montagne che mi affascinano particolarmente.
Facendo riferimento ad una montagna in particolare, mi sento attratto dalla vetta del Chogolisa (più di 7600 m), con la sua caratteristica cima a forma di prisma, una cresta sommitale quasi "innaturale", a circa 15 km a Sud Ovest del gruppo del Gasherbrum, nei pressi del ghiacciaio del Baltoro, in Karakorum (Pakistan).
Nell’immagine che ti ho mandato, sembra davvero un sereno tetto artificiale di una casa sopra un etereo mare di nubi.


Maxime Guitton è responsabile del "Soutien à la création" al Centro nazionale d’arti plastiche (CNAP) a Parigi, un servizio che supporta la creazione contemporanea attraverso premi e sovvenzioni ad artisti visivi, editori, galleristi, critici d’arte e produttori cinematografici. Dal 2003, ha sviluppato attività di programmazione musicale freelance in diversi luoghi indipendenti, spazi d’arte e musei (Le BAL, CAPC, Centre Pompidou, etc.). Dal 2009 al 2011 ha fatto da assistente alla compositrice Eliane Radigue. I suoi campi di ricerca lo hanno portato ad essere invitato da scuole d’arte e istituzioni per lezioni, seminari, conferenze e sessioni di ascolto, sia in Francia che in Svizzera (ECAL, Ecole du Magasin, INHA, Bétonsalon, Musée de la Main UNIL-CHUV, etc.). Nel 2014, ha curato "a drusy vein" (Treize, Paris), la mostra personale di Melissa Dubbin e Aaron S. Davidson. Insieme a Benoît Hické, nel 2015 ha completato la programmazione di "Montagnes: la terre exhaussée", un ciclo di proiezioni di film, conferenze e diffusione acusmatica sulle montagne presso il Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi.

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