La storia dell'arrampicata e il Forte Sofia di Verona

Sabato 10 maggio presso il forte austroungarico Sofia di Verona si è svolto l'evento legato all'arrampicata veronese "Fortino senza Frontiere". Ha riscosso moltissimo successo, e non solo nella comunità alpinistica cittadina.
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Fortino senza Frontiere sabato 10 maggio 2014 presso il forte austroungarico Sofia di Verona.
archivio Mariana Zantedeschi
Circa quattrocento persone provenienti da diverse realtà (alpinismo, boulder, circo, musica ecc) si sono date appuntamento al Forte per celebrare la sua storia, anzi, le sue storie, al plurale. Perché? Perché ce ne sono due, quella di Forte Sofia e quella del romantico Fortino. La prima, sebbene porti un dolce nome di donna, di femminile ha poco, essa è infatti politica, militare e strategica. Forte Sofia, un forte militare risalente al periodo della dominazione sul Veneto dell'Impero Austroungarico (1816-1866), era parte di una rete di fortificazioni che rendevano Verona un'importante piazzaforte e che oggi fanno sì che sia patrimonio dell'Unesco.

Dopo la dominazione austriaca arrivò l'Italia unita prima e il Fascismo poi, che negli ultimi due anni di Seconda Guerra Mondiale, dal '43 al '45, implicò l'occupazione nazifascista. In questi anni Forte Sofia ospitò una prigione dove dissidenti e partigiani venivano rinchiusi nell'attesa di sommari processi, deportazioni o fucilazioni. I più non avevano che vent'anni, magari alcuni di loro avevano sentito parlare di scalate e roccia, ma spesso non ebbero tempo di seguire le orme di Comici, Cassin e tanti altri dell'epoca.

Forte Sofia nel dopoguerra pensò che questo ruolo proprio non gli si addiceva, così decise di cambiare abito, definitivamente. E qui inizia la seconda storia, quella del Fortino, che è il motivo dell'evento di sabato 10 maggio. Forte Sofia ha delle mura esterne molto imponenti, costruite assemblando pietroni che grazie alle fessure tra uno e l'altro le rendono arrampicabili. Per questa caratteristica e per la sua vicinanza al centro cittadino negli anni '70 è diventato una palestra d'arrampicata. E venne soprannominato dagli scalatori prima "I Muri" ed in seguito "Fortino". "Dopo scuola andiamo ad arrampicare al Fortino!" – dicevano. Ma perché si arrampicava su delle mura artificiali? Verona è circondata da moltissime falesie, anche piuttosto vicine al centro urbano… cosa stava succedendo?

Spostiamoci allora più ad Ovest, in Valle dell'Orco e in Val di Mello (ma non solo), dove si stava sperimentando un nuovo metodo di "andar per monti". Erano gli anni '70, e come tante realtà sociali anche l'alpinismo stava vivendo il suo ‘68. Fino ad allora il modello alpinistico era stato quello "eroico", dove per il coronamento dell'avventura la cima era necessaria, a tutti i costi. Le nuove generazioni di alpinisti cominciarono a domandarsi perché proprio nell'attività che amavano di più dovessero ricercare la sofferenza e la negazione del piacere in un'eterna lotta con l'Alpe, perché con essa non si poteva vivere in pace? Chi aveva deciso che erano dignitose solo le alte vette? E che dire invece dei fondovalle e delle scalate che non portano a nessuna cima? Il vecchio modello non soddisfaceva, e i più sensibili cominciarono a denunciarne il fallimento. Sentivano che la verità era sepolta sotto la retorica della conquista.

Nel nuovo contesto la vetta, intesa come risultato, spariva; si puntava piuttosto ad un'arrampicata intesa come "gioco" e si cominciava a ricercare il divertimento dato dal gesto atletico, che ora finalmente era spoglio da obiettivi eroici. Per la nuova generazione l'alpinismo non era più solo quello delle fredde facce nord ma anche quello delle solari pareti di fondovalle. Da quando l'arrampicata in quanto gioco e godimento assunse un proprio valore in sé e per sé non fu più solamente un modo per raggiungere la vetta.

L'evoluzione culturale fu accompagnata da quella tecnica, e complici di entrambe furono i climbers californiani ed in generale chi proveniva dal mondo anglosassone. Arrivarono nuts e friends, che consentirono un rapporto con la roccia più puro, radicale e meno artificiale. Anche l'aspetto estetico dell'arrampicatore cambiò: i vecchi pantaloni alla zuava furono abbandonati per jeans e appariscenti calzamaglie e i rigidi scarponi vennero sostituiti da pedule "spalmabili" sulla roccia, via i tagli di capelli da bravi ragazzi ora le chiome erano lunghe e scarmigliate.

Era iniziata un'evoluzione che sembrava non arrestarsi… ed a cavallo degli anni '80 e '90 si fece strada una generazione di climbers, che non solo non si dedicava più all'esplorazione di nuovi itinerari, preferendo quelli già tracciati ma si focalizzava con metodo solo sul gesto. D'altra parte la specializzazione della disciplina necessitava di un allenamento costante che obbligava a pensare tutto solo in funzione del passaggio da risolvere in purezza di movimento, senza disperdere le energie in altre attività. Ciò permise di ampliare velocemente la scala dei gradi di difficoltà, e sviluppò un'altra attività, che non conquista vette, ma ha l'eleganza di un balletto classico… il boulder: un'arrampicata concepita senza altri obiettivi se non quello della ricerca del movimento più puro ed armonico possibile, solitamente praticata su massi franati nei fondovalle. Inizialmente i praticanti vennero definiti, con un certo rammarico, gente che purtroppo non amava andare in montagna… ma quei massi erano stati parte di montagna, una parte che poi era franata in basso! Il boulder fu l'ennesima conferma della nuova mentalità di concepire l'arrampicata e l'andar per monti.

E il Fortino? Cosa c'entra il Fortino con tutto ciò? Si dice che l'alpinismo veneto, per tradizione conservatrice, fu meno incline ad accogliere le nuove filosofie, tuttavia il Fortino fu parte attiva di questa storia rivoluzionaria. Sulle sue mura nasceva uno dei primi esempi di "street boulder", non solo un'arrampicata fine a sé stessa, che conduceva su un cornicione piuttosto che su una vetta, ma addirittura si usava un muro artificiale! Insomma una specie di sacrilegio!

La generazione che frequentava il Fortino negli anni '70, sebbene avesse fatto propri i nuovi stimoli, arrampicava ancora con lo specifico obiettivo di fortificare gli avambracci per poi spendere energie in ambienti dolomitici, insomma il Fortino era sì "street" ma veniva utilizzato ancora come una falesia, come una palestra. Ed era rigorosamente arrampicato con gli scarponi. Poi arrivò la generazione degli anni '80 e '90, che al nuovo spirito aggiunse anche l'innovazione tecnica, procacciandosi le nuove scarpette… spesso non c'erano i soldi per procurarsi le originali allora l'ingegno faceva la sua parte creando esemplari di calzature tecniche "fai da te". Anche questi ragazzi nei fine settimana prediligevano ancora l'arrampicata in ambiente ma abbinavano alla tradizione anche la ricerca del bel gesto, affinato proprio sulle mura del Fortino. Infine arriviamo alla mia generazione, dove al Fortino arrampicano ed hanno arrampicato anche ragazzi che cercano l'allenamento solo per un gesto armonico, fluido e dinamico, per il quale le vie a più tiri e spesso anche la falesia non servono. Sono i boulderisti d'oggi, guardati spesso in cagnesco dagli arrampicatori dell' "old school", ma guardati invece con un sorriso da chi sa gustare la bellezza dei loro movimenti e da chi ha capito che l'evoluzione è una nuova opportunità. Lo ha capito il Fortino, che tutt'ora accoglie chiunque: il ragazzino che si sta approcciando all'arrampicata per la prima volta, e che non è ancora a conoscenza che un giorno forse si sentirà chiamato a scegliere tra una corda ed un crash pad; l'arrampicatore che infilando le dita nelle fessure del Fortino sogna vie a più tiri, e il boulderista che, facendo lo stesso gesto, sogna invece di vincere un boulder contest.

A "Fortino senza Frontiere", (il nome dell'evento non sembra casuale), si è vista quest'interessante commistione: tenaci boulderisti, medi arrampicatori, falesisti, alpinisti di tutte le età, e ancora gente che di arrampicata sapeva poco o nulla, giocolieri, slackers, passanti… uno dei boulderisti più agguerriti ha detto: "E' un bell'evento, perché ognuno trova il suo posto e tutti si divertono". Si conclude così una tappa della seconda storia di Forte Sofia, una storia che in silenzio ha influenzato diverse generazioni di arrampicatori che sulle sue mura hanno trovato la loro specifica vocazione.

di Mariana Zantedeschi


08/05/2014 - atTRAVERSO il Forte, mostra fotografica storica sull'arrampicata Veronese



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