Monte Oronaye parete Nord e il Canale della Forcella

Il racconto di Mattia Salvi della salita della parete nord del Monte Oronaye (Alpi Cozie) e la discesa con gli sci del Canale della Forcella.
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Mattia Salvi salendo al colle.
Alessandro Albicini
Questa volta avrei fatto meglio a non mettere niente sotto i pantaloni da sci. Grossomodo era questo il mantra che usavo per scandirmi il passo salendo al colle d’Enchiausa. Perchè i pantaloni che ho sotto rendono inutile tutto questo mio aprire cerniere e prese d’aria. Questi erano i ragionamenti che mi accompagnavano mentre lasciavo sulla mia sinistra il bivacco Valmaggia e risalivo gli ampi pendii del vallone d’Enchiausa sotto un cielo totalmente azzurro ingombrato solo da un sole enormemente giallo intento a fare prove di primavera riflettendosi su tanta, tanta neve bianca che non dava l’idea di volersi ancora sciogliere pur mollando parecchio in queste prime ore della mattina.

Nonostante dal colle d’Enchiausa si debbano perdere quasi cento metri di quota abbiamo deciso di passare da qui piuttosto che da Saretto per raggiungere la parete nord dell’Oronaye dato che partire da Viviere sembra la scelta più conveniente.

E infatti un muro di neve alto più di un metro sbarra la strada per Viviere costringendoci a lasciare l’auto a Chialvetta, duecento metri e tanto sviluppo più in basso.

Oggi è giovedì, ed è strano, per me, essere in montagna il giovedì, che ho un lavoro, in città. Ma il bollettino neve che è uscito ieri recitava proprio "Il permanere di condizioni di bel tempo, con zero termico stabile sui 2400-2600m ed un buon rigelo notturno, continueranno a favorire il consolidamento del manto nevoso.", il mio socio aveva la giornata libera e fosche prospettive d’impegni familiari s’addensavano sul fine settimana. Inoltre, visto che si fa sempre più consistente la voglia di andare con gli sci su quel monte là, quello alto, quello di granito, per capirci, pareva necessario mettere un po’ di dislivello sotto le pelli.

Ora, se mi avete seguito, viste le condizioni in cui si presentava, capirete bene quale offesa alla montagna e ai suoi spiriti avrebbe rappresentato restarsene a Genova. Dato che ultimamente ho spesso paura di offenderli, la montagna e i suoi spiriti, ecco che oggi, giovedì, ho lasciato la macchina a Chialvetta (no a Viviere, a Chialvetta, duecento metri e molto sviluppo più in basso) e ho cominciato a percorrere la carrabile del vallone di Unerzio sci e pelli ai piedi. Io e il compagno di gita. Dopo poco meno di un’ora passiamo da Viviere, da qui in poi la strada comincia a formare dei tornanti e, stando alle nostre relazioni, dovremmo abbandonarla all’altezza di un evidente monumento (o lapide secondo altre fonti) per piegare a destra in un bosco di larici, non avendo però notato nulla che assomigliasse vagamente a monumenti o lapidi pieghiamo a destra tra i larici quando, consultando la cartina, ci appare evidente che avremmo dovuto farlo prima, perdendo conseguentemente un po’ di tempo a trovare passaggi nel fitto del bosco.

Ed ecco che intanto sotto il sole schiacciante, risalendo il lungo vallone che si stringe e s’impenna man mano che lo percorriamo, siamo arrivati al colle d’Enchiausa. Milleduecento metri più in alto della macchina, di fronte alla parete nord dell’Oronaye, vento, vestirsi un po’, un centinaio di metri scarsi di quota da perdere, picche e ramponi nello zaino, tre possibili canali da salire, valutare le condizioni.

Perdiamo il dislivello che c’è da perdere, cercando di stare il più alti possibile, traversiamo verso destra sotto la parete, riusciamo ad arrivare ad una buona altezza sul conoide principale da cui parte il canale nord classico, il canale "della forcella " e quello che ho sentito chiamare "degli asinelli ". Cambio d’assetto via gli sci, le pelli, leghiamo i bastoncini in qualche modo allo zaino, qui all’ombra fa freddo, mi godo i miei sotto pantaloni e mi devo vestire, ma la neve è dura, farina pressata, e si lascia volentieri penetrare dalle sei punte frontali dei ramponi. E non sfonda, si lascia incidere dalla piccozza, le condizioni ci sembrano buone, oserei dire ottime se l’ottimo esistesse, e optiamo per salire alla forcella.

A parte due brevi finte in cui son passato avanti il canale lo tira tutto Ale e io soffio sfruttando i suoi gradini, il canale s’allunga per circa quattrocento metri di dislivello e a salirlo ci va un po’ di tempo. E mentre soffio su dal canale ripenso alla mia paura d’offender la montagna e i suoi spiriti, ho paura che si offendano quando soffio, perché li ho sottovalutati e la stanchezza fisica e mentale non sono buone amiche in montagna, ho paura che si offendano quando valuto una salita fattibile, perché pecco di tracotanza, quando valuto un pendio sicuro, perché mi sembra arrogante attribuirsi una così raffinata capacità di valutazione. Non voglio conquistare nessuna cima, nessuna lotta all’alpe, vorrei salire dei monti dopo averglielo chiesto, passando dove loro concedono il passo, nella stagione e nei giorni che ritengono più opportuni. E vorrei arrivare all’appuntamento preparato, fisicamente e tecnicamente, per non deluderli e pronto a tornare a casa se avessero cambiato idea, se avessero un altro impegno. Sperando di non sbagliare, per non offenderli, anche se mi sembrano un po’ tante le cose che vorrei avere sotto controllo per controllarle tutte.

Salendo il canale impenna sempre di più, le relazioni parlano di 55°-60° verso la cima, adesso il canale è molto pieno e forse la pendenza è qualcosa meno, la neve continua ad essere solida ma penetrabile per tutta la salita. La cima del canale è sovrastata da un gigantesco muro di neve sotto il quale si apre quella che se fossimo su un ghiacciaio chiamerei terminale, poco profonda e pianeggiante, sembra un balcone che s'affaccia sul canale. Utilizziamo il balcone per il cambio d’assetto e il canale, guardarlo dall’alto, sembra ancora più ripido. Abbiamo spezzoni per fare soste, una corda per calarci e siamo entrambi imbragati. Ale esce dalla "terminale " sci ai piedi e piccozza in mano, le lamine incidono bene, derapa per qualche metro e poi comincia un’infilata di curve saltate. Siamo d’accordo di scendere uno alla volta, aspettandoci in zone sicure, fuori linea, e così rimango al balcone fino a vederlo scomparire dietro la prima piega a destra del canale. Esco e saggio anche io la neve, piccozza in mano, anche se è molto più facile avendo visto un altro farlo. Il canale è piuttosto contorto, occorre aggirare alcune rocce ed aver valutato il percorso durante la salita. Prima di piegare verso sinistra ed allinearsi col conoide finale aggira un’ultima alta barra rocciosa, per tutta questa serie di motivi la mia derapata dura molto più di quella di Ale e mi tengo la piccozza in mano. Dalla base del conoide ci tocca la risalita fino al colle e poi una lunga ridiscesa sulla neve sciolta del mattino ormai molto faticosa per il rigelo.

Canale contorto ma decisamente in ambiente e di soddisfazione, su una meravigliosa parete ampia e imponente, perennemente in ombra. Vista aperta su tutta la val Maira e la Rocca Provenzale, da metà in su si vede "sorgere " il Monviso. Molto bella anche la risalita del vallone fino al colle d’Enchiausa, oggi resa ottima dall’innevamento totale e dall’assoluta assenza umana. Gita lunga e complessa (per l’itinerario e i diversi cambi d’assetto) che avrebbe meritato di partir prima dalla macchina (noi alle 8:00) e magari di levarsi quell’ora e duecento metri iniziali sincerandosi della possibilità di arrivare a Viviere.


di Mattia Salvi

DI MATTIA SALVI
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