Vasco Taldo. Il gigante buono

Un ricordo di Vasco Taldo l'amato, appassionato e grande alpinista sestese, Accademico del Club Alpino Italiano nonché autore di importanti salite nelle Alpi e in Patagonia, che ci ha lasciato all’età di 81 anni.
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Vasco Taldo indica la Nord del Disgrazia di cui ha realizzato la prima salita invernale.
Serafin / Lomar
Capita a volte che una vallata o un gruppo montuoso siano valorizzati da non alpinisti locali. Ad esempio Ivan Guerini - scopritore della Val di Mello in ottica verticale - aprì la via Kundalini mentre lo stesso giorno alcuni ragazzi sondriesi erano scesi nel lecchese (ironia della sorte su suo stesso suggerimento!) a ripetere una via di Walter Bonatti sulla Corna Medale.

50 anni prima, più o meno lo stesso destino capitò a Vasco Taldo. Un omone grande e grosso, alto quasi due metri e con mani così grandi da misurare la stessa dimensione del cranio di un uomo di vent’anni. Un gigante buono però, perché quelle mani non furono mai “alzate” in tutta la vita se non per agguantare appigli e pestare chiodi (per fortuna di eventuali pretendenti avversari! E Vasco ne ha piantati tanti di chiodi sulle pareti.

Nato a Sesto San Giovanni, Vasco Taldo era membro di un sodalizio che si faceva chiamare “Pel e Oss”. Questo nome – nel tipico dialetto lombardo - evidenzia alla perfezione il modo di andare in montagna di una volta perché, oltre che ad essere nerboruti e snelli (anche per la povertà del dopoguerra), erano soliti muoversi furtivi e senza troppi soldi… ma liberi!

Non voglio elencare le sue ascensioni nelle Alpi Centrali e in Dolomiti, piuttosto voglio raccontare di una (l’unica) giornata d’arrampicata passata con lui - quasi per caso - qualche anno fa; perché proprio quelle poche ore grandiose mi sono tornate in mente appena appresa la triste notizia della sua scomparsa.

Una giornata in una piccolissima paretina di Piona vista lago e vista Manduino, assieme anche ad Ivan Guerini e alla moglie Monica, che con Vasco riempivano la macchina: una panda scassata in cui Vasco e la sua grande mole non potevano far altro che accomodarsi sul sedile posteriore - tutto per se!

Lo vedevo per la prima volta e non sapendo com’era fatto, mi stupii molto vedere un vecchietto di quasi 80 anni che veniva ad arrampicare con suoi potenziali bisnipoti (io) o figli (Ivan e Monica), e poi perché ero sorpreso che in una mini car come quella potesse starci un uomo così alto! Un’indimenticabile stretta di mano - visto che la mia, più esile, scompariva nella sua - e poi pronti via per questa falesietta di dubbia ubicazione. L’allegria contagiosa di Ivan instaurò un clima talmente disteso che anche Vasco si mise a ridere fino a quasi piangere, non accorgendosi nemmeno di esserci persi addirittura in un sentiero in piano!

L’arrampicata in sé fu senza lodi, ma di certo mi stupii molto vedere affianco a me quest’omone di 78 anni muoversi con facilità su difficoltà fino al 6a, fermandosi senza appendersi alla corda per mettersi in posa alla mia fastidiosa richiesta di immortalare il momento con uno scatto; al quale lui rispose con un grande sorriso sotto quel cappellino giallo banana che usava mettersi per non scottarsi la pelata!

A fine giornata, non un caffè, non un birra o altri svaghi che invece la mia generazione si concede quasi d’obbligo (tra cui mi ci metto anche io, da giovane amante del refrigerante liquido post arrampicata!) e via veloci verso Milano. Proprio un altro stile di vita: noi figli del progresso, lui figlio della guerra, senza nemmeno capire il motivo di dover concedersi uno svago simile. Fantastico!

I suoi racconti alla base di questa falesia e sui sentieri di accesso mi avevano fatto capire la sua grandezza, che non era solo fisica, ma anche umana. Sì perché mi raccontò, con un po’ di malinconia, dei suoi problemi di salute: due mali molto brutti che era riuscito a sconfiggere, ma che doveva tener sempre monitorati. Aveva 78 anni quel giorno, e mi disse anche di qualche problemino alle spalle e alle braccia, e del medico che gli impose di smettere di arrampicare (consiglio ovviamente gettato nel WC!) e del fatto che si stava appassionando sempre di più alla bicicletta… che poi era un suo vecchio amore, avendo viaggiato sempre parallelo all’alpinismo; anche perché da Monza, per andare a scalare sulle Grigne, non poteva permettersi altri mezzi ai tempi.

Raccontò di pedalate memorabili attorno al lago compiute non 20 anni prima, ma due giorni prima. 40 Km in bicicletta a 78 anni nel Triangolo Lariano. Scoprendo poi che li percorreva più o meno un giorno sì e un giorno no. Essendoci anche il carissimo e giocoso Ivan, pensai subito a uno scherzo, e che si erano messi d’accordo per prendermi per i fondelli, ma nei mesi successivi sentii testimonianze di gente che lo aveva avvistato sul sellino.... e con andamento certamente non da pensionato.

Incredibile! Come incredibili sono le sue ascensioni: superare in quegli anni (anni 50) una via come la Sud del Picco Luigi Amedeo, o gli strapiombi della Punta Ferrario, o ancora un diedro strapiombante sul Cavalcorto (una via ancora irripetuta e anche sconosciuta).

Ho avuto la fortuna di ripetere due delle sue vie, una delle quali proprio nell’estate 2013, guarda caso con un compagno con le sue stesse caratteristiche: quasi due metri e mani che incutono rispetto. Paolone - questo il suo nome (il perché dell’”onefinale è di facile comprensibilità) - e la sua statura sono stati di vitale importanza per superare il passaggio chiave della salita, grazie al cielo toccato a lui e non a me: un allungo già lungo per gli alti come Paolo e Vasco, figurarsi per me che arrivo “solo” a 1 metro e 80. Lo sentii per telefono al rientro, raccontandogli della nostra visita su una sua via, scherzando anche sul fatto che avevo scelto il compagno giusto pensando alla sua statura! Ma fu anche l’ultima volta che sentii il suo poderoso e risoluto tono di voce, sempre buono e scherzoso. Di persona invece lo incontrai (sempre con Ivan e Monica, che ancora una volta tutti e tre riempivano la panda) al funerale di Walter Bonatti. Spuntando di 10 centimetri dalla folla, portò il sorriso ancora una volta tra i suoi amici e compagni di salita dei tempi che furono, anche se ormai rimasti in pochi.

Le foto di quella giornata “vista lago” sono disperse nel mio archivio. Dopo la brutta notizia ho rovistato ogni CD e Hard Disk, ma senza risultato. Però, gli archivi si sa, alla fine fanno uscire sempre le chicche migliori al momento giusto, quando meno te lo aspetti: forse questo momento non è ancora arrivato. Quando succederà, però, i miei occhi cercheranno uno scatto in particolare: lui con in mano un telefonino, con le sue dita così grandi da non riuscire a pigiare i tasti... con i conseguenti borbottii e alla fine la resa: «scrivimi te il numero che non riesco!»

Martedì scorso, il fatto.

Il gigante buono delle montagne se né andato così, un malore che lo ha fatto cadere dalla sella della sua bicicletta, mentre stava percorrendo ancora una volta le strade della Brianza. Un classico “colpettino”...

Strano il destino, a pensarci, dopo aver affrontato montagne incredibili e dopo aver sconfitto (per due volte) due ceppi diversi dell’unico grande nemico del nostro tempo.

Lo ricorderò con quel suo sorriso a 32 denti (ancora ben saldi come querce nonostante l’età!), la sua risata da tenore, le sue poderose manone e la gioia di non fermarsi mai, sempre di corsa a macinare chilometri e metri in verticale... e ancora libero.

di Andrea Gaddi

Alcune delle salite più famose di Vasco Taldo (che non ha mai smesso di scalare per tutta la vita):
Picco Luigi Amedeo parete Est (1956) con Nando Nusdeo
Prima invernale parete Nord del Disgrazia (1957)
Direttissima parete Nord Ovest del Pan di Zucchero (Civetta) (1962) con Josve Aiazzi, Bepi Pellegrinon e Giorgio Redaelli
Torre Centrale delle Torri del Paine (1963) con Carlo Casati, Josve Aiazzi, Ferdinando Nusdeo e Armando Aste




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