Classico Marittimo: due vie lunghe nelle Alpi Marittime

Il racconto di Simone Greci e Enrico Oberto che quest'estate hanno percorso delle vie classiche, forse un po' dimenticate, nelle Alpi Marittime: lo Sperone Salesi alla Parete Sud dell'Argentera (700m, D+) e il concatenamento della Torre Patrizia con lo Sperone della Solitudine alla Cima del Baus (700m, D+).
Esplorare delle vie classiche "forse un po' dimenticate" in un angolo delle loro montagne di "casa", le Alpi Marittime: era questo l'obiettivo di Simone Greci e Enrico Oberto che durante due intense giornate quest'estate hanno ripetuto delle vie che hanno "il sapore di una grande course, in un ambiente selvaggio ma rilassante, in puro stile Marittime". La prima via è lo Sperone Salesi alla Parete Sud dell'Argentare, aperta nel 1960 da Bruno e Francesco Salesi, mentre la seconda è in realtà il concatenamento della Torre Patrizia con lo Sperone della Solitudine alla Cima del Baus, due vie aperte in due momenti separati da Francesco Leardi e Patrizia Porcu nel 1979 che, se concatenate, "portano direttamente in vetta e sono un invito che non si può declinare a gustare il bellissimo gneiss in salsa classica di questa bella ed appartata montagna."


CLASSICO MARITTIMO di Simone Greci e Enrico Oberto

Due caschetti arancioni, diversi ma entrambi con i laccetti lerci in ricordo di tante ore passate appesi ad una sosta o sotto il riverbero del sole sulla neve. Inizia così un piccolo grande viaggio nel cuore delle Alpi di casa, le Marittime. Giardino segreto per qualcuno ma per noi sono le montagne che si intravedono dalla finestra, che fanno da sfondo alle brume mattutine di Langa e che catalizzano le nostre fantasie, le nostre ansie. Le previsioni di tempo stabile ci ispirano a vivere due giorni tra questi monti, percorrrendo due itinerari forse un po’ dimenticati e per questo degni di essere ripetuti. Non ci sono difficoltà elevate ma serve un po’ di fiuto alpestre e tanta voglia di faticare per assaporarne l’essenza. Un viaggio che attraversa tre vallate diverse e che cavalca due classiche, lo Sperone Salesi alla Sud dell’Argentera e lo Sperone della Solitudine alla Cima del Baus. Raccontare queste emozioni non è semplice, bisogna riuscire a dare voce ai gesti asciutti ed essenziali degli gli alpinisti che hanno fatto la storia di queste montagne, bisogna parafrasare, riga per riga, quel sacro testo con la copertina grigia e le pagine sottili che viene sfogliato con religioso rispetto.

Partiamo da Borgo San Dalmazzo, risaliamo la Valle Gesso ed arriviamo al Gias delle Mosche, partenza per chi va al rifugio Bozano, punto di appoggio per le salite al Corno Stella e per tutte le vie sul versante nord-ovest della Serra dell’Argentera. In un’ora e mezza di piacevole camminata su un bellissimo sentiero e con i primi raggi di sole che ci accolgono appena usciti dal bosco, arriviamo al rifugio per un rapido saluto a Marco, il giovane ed efficientissimo gestore, instancabile promotore di iniziative per far conoscere questo angolo di montagna a torto spesso dimenticato.

Ma tempus fugit, il temporale forse invece arriva ed allora tagliamo la pietraia in orizzontale sotto il rifugio ed in circa mezz’ora, eccoci all’attacco dello zoccolo che ci porterà sulla cengia dove poggiano i tre superbi pilastri che reggono la parete nord-ovest della cima sud dell’Argentera. Lo sperone dove corre la via Baratta-Salesi è quello più meridionale, il terzo a destra guardando la parete per intenderci e sale impressionante verso l’alto, sfumando nel torrione che delimita, verso nord, la parete della cosiddetta Spalla dell’Argentera. Sugli altri due corrono altrettante bellissime classiche, il "Promontoire" dell’epico pioniere Conte Victor Spitalieri De Cessole, salito nel 1908 e la via Campia del 1937, un altro pezzo di storia dell’alpinismo cuneese e non solo, aperta dal fortissimo ed umilissimo Matteo, lo stesso che ha regalato ai posteri la più bella via per salire la parete sud ovest del Corno Stella.

La prima parte della via si svolge per circa 250m su bellissime placche chiare, lavorate a vaschette dall’acqua, che si scalano con arrampicata facile e divertente, anche di conserva, poi, dopo aver superato una zona più abbattuta, si raggiunge la base del pilastro che può essere affrontato a tiri di corda. Troviamo le soste a chiodi ancora in buono stato e nelle lunghezze di corda è sempre possibile proteggersi con nuts, friends e fettucce. Difficoltà ridotte, facile ma non banale con gli scarponi ai piedi. Al termine del torrione si riprende la salita di conserva, incontrando lo stesso tipo di roccia della prima parte. Arriviamo sulla cresta tra la Spalla e la Cima Sud dell’Argentera, ci siamo solo noi, ed il temporale che ci tallona ci fa gustare solo per qualche istante la punta più alta delle Marittime: una stretta di mano e via, giù verso la lunghissima discesa che dall’altopiano del Baus conduce al Rifugio Genova.

Giunti al bivacco che sorge sull’altopiano omonimo, col temporale ormai alle spalle, ci concediamo un po’ di tempo per ammirare lo stupendo panorama circostante e per tentare timidi approcci con alcuni stambecchi, che si avvicinano curiosi e per nulla intimoriti. Ma la strada è ancora lunga, il sentiero per arrivare al Rifugio è ben segnalato, ma l’acqua di fusione che cola dai nevai soprastanti lo rende poco piacevole. Comunque un passo dopo l’altro arriviamo un po’ provati al rifugio Genova, che sorge in una conca stupenda, nei pressi della sponda settentrionale del Lago di Brocan, nell’alta Valle della Rovina. Siamo un po’ preoccupati per la cena, ma il gestore ci rassicura: potremo sfamarci nel secondo turno! Il pasto è sicuramente all’altezza del nostro pantagruelico appetito e poi spunta una chitarra. Chissà se fra gli altri ospiti ci sarà qualcuno che ha voglia di cantare... La risposta è affermativa, ci allontaniamo un po’dal rifugio per non dare fastidio a chi vuole riposare, ci sono la luna piena che si riflette sul lago e le canzoni di De Andrè, si tira tardi, "E’ giunta mezzanotte", bisogna, purtroppo, andare a dormire, ma si legge sui nostri volti e di coloro che ci hanno tenuto compagnia la soddisfazione di aver passato insieme una bellissima e per niente scontata serata.

La notte trascorre serena nel bivacco invernale del rifugio, comodissimo. Scendiamo dai nostri giacigli alle sei e mezza. Ci viene servita un’ottima e abbondante colazione. Il gestore si premura di conoscere il nostro itinerario e la via seguita in discesa. Rendiamo allora nota la nostra destinazione: la cima del Baus, per le vie della Torre Patrizia e lo Sperone della Solitudine. La via si svolge su una parete complessa, 700 metri dalla base ma lo sviluppo è maggiore. Le difficoltà arrivano al quinto superiore, ma il vero problema è trovare sempre l’itinerario migliore, soprattutto nella seconda parte, in cui i chiodi e i segni di passaggio si fanno veramente sporadici. Siamo attratti, però, dall’aura di mistero che circonda questa via a torto poco ripetuta. La consideriamo un tributo ad un genere di alpinismo romantico, che va oltre alla “lotta coll’alpe”, ma è soprattutto condivisione di una passione. Non a caso la prima parte risale il Torrione Patrizia, chiamata così dal nome della sua prima salitrice, in cordata con Francesco Leardi, nel 1979.

Il percorso si sviluppa per sette tiri di corda, la chiodatura è essenziale ma almeno le soste ci sono, evidenziate da cordoni ai quali è sicuramente meglio non appendersi. L’ambiente è solitario, ogni tanto si sfiora qualche fiore di genepy, il cui profumo richiama alla mente il prezioso infuso bevuto abbondantemente la sera precedente, tra una canzone e l’altra. Ma la giornata è decisamente bella, l’avvicinamento abbastanza comodo su sentiero tracciato fin quasi sotto la parete fa smaltire gli ultimi torpori ed eccoci concentrati ad attaccare il primo tiro. La torre Patrizia si lascia scalare tranquillamente, su roccia sempre bella, senza troppi problemi di orientamento. Raggiunta la cima della torre, ci caliamo con una corta corda doppia per raggiungere la seconda parte dell’itinerario, decisamente più selvaggia, ma non meno bella. La via te la devi guadagnare e le soste pure. La relazione diventa più sommaria, e la lunghezza dei tiri di corda dipende dai punti maggiormente adatti per far sosta. Facendo ricorso ad un pizzico di intuito alpinistico, riusciamo, senza errori, ad individuare il percorso e, dopo alcuni torrioni ed una cresta orizzontale di circa 100m di sviluppo, ci troviamo sotto il risalto di 200m circa che dovrebbe portarci sulla cresta sommitale. Un’attenta lettura della relazione ci fa individuare correttamente il punto di attacco e con alcuni splendidi tiri, su roccia molto bella (troveremo solo un chiodo prima del passaggio valutato di quinto superiore) raggiungiamo la cresta prima della vetta vera e propria. Da qui, aggirando un gendarme sulla sinistra, arriviamo, finalmente alla croce, dopo una cavalcata di otto ore.

La discesa dalla Cima del Baus, fortunatamente, è escursionistica: verso il Colle della Culatta e da qui nel vallone di Assedras, toccando il bellissimo Lago di Nasta, ghiacciato tutto l’anno, e il Rifugio Franco Remondino. La discesa verso l’auto, lasciata il giorno precedente al Gias delle Mosche, su un sentiero esposto ad ovest, avviene nei splendidi colori del tramonto, senza fretta, assaporando ancora un po’ i profumi ed i suoni della sera delle Alpi Marittime.

Enrico Oberto e Simone Greci


SCHEDA: Sperone Salesi, Alpi Marittime

SCHEDA: Torre Patrizia e Sperone della Solitudine, Alpi Marittime




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