Fulmini e Saette, prima invernale sul Gran Sasso

Il 10, 11 e 12 febbraio Lorenzo Angelozzi, Andrea Di Donato e Andrea Di Pascasio hanno effettuato la prima invernale di Fulmini e Saette (700 metri fino al VII) difficile via sulla parete nord-ovest dell'anticima della Vetta Orientale del Gran Sasso, in pratica un enorme avancorpo del Paretone.
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Fulmini e Saette, Gran Sasso: Giorno1 - avvicinamento, Cengia dei Fiori
archivio Lorenzo Angelozzi
Era lì che aspettava da un bel po' questa prima invernale di Fulmini e Saette sulla parete nord-ovest dell'anticima della Vetta Orientale del Gran Sasso. Sarà per l'avvicinamento, diciamo  “un po' lunghetto”, ma anche pericoloso e difficile. Sarà che queste cose, come dice Lorenzo Angelozzi, devono arrivare quasi per caso. Fatto sta che mancava ancora la prima salita d'inverno a questi 700 metri di grande alpinismo, aperti dal maestro Massimo Marcheggiani e da Lorenzo Brunelli l'8 luglio del 1987. Ventiquattro anni di attesa che indicano il valore della difficoltà e complessità della via, ma anche le “visioni” di quegli alpinisti che l'hanno saputa vedere ed aprire. Insomma, Fulmini e Saette è di quelle vie che lasciano il segno nel tempo.

Per l'invernale tutto è iniziato il 10 febbraio scorso con i tre alpinisti teramani impegnati sulla Cengia dei fiori, il lungo, difficile e “ingaggioso” passaggio obbligato per arrivare all'attacco di Fulmini e saette. Per non perdere tempo salgono subito anche il 1° tiro e poi bivaccano. Dopo una notte appesa all'imbrago (!) ripartono e salgono fino a due tiri dalla fine. Qui è tempo per il 2° bivacco che, per fortuna, questa volta passano su una comoda cengia con grottino. Sabato 12 tocca all'ultimo tiro duro e poi con 60 metri di cresta ecco l'anticima. Poi la discesa “con calma ma anche con una certa fretta visto che io alle 14:00 attaccavo a lavorare” precisa Lorenzo.

Che altro dire? Sicuramente che questa prima invernale, per il Gran Sasso ma anche in assoluto, è da incorniciare. E che Andrea Di Donato e Andrea Di Pascasio sono alpinisti di quelli (forti e tosti) che non hanno bisogno di presentazioni. Ma anche che Lorenzo (Lorenzino ) Angelozzi ha solo vent'anni e fa parte di un ristrettissimo gruppo di ragazzi che, come dice Roberto Iannilli: “stanno facendo resuscitare l'alpinismo in centro Italia. Lorenzino è il più forte e completo, il futuro dell'alpinismo al Gran Sasso e non solo”. E forse questa, della passione giovane per l'alpinismo, è la cosa più bella. Basta leggere il report di Lorenzo per capirlo.


Prima Invernale di Fulmini e Saette - Febbraio 2011
di Lorenzo Angelozzi

Una fantastica settimana di alta pressione è prevista nella zona del Gran Sasso. Occasione ghiottissima, per ogni alpinista, di tuffarsi su qualche parete! Noi cogliamo l’invito e decidiamo di salire la via First alla parete Est del Corno Piccolo. Così la mattina del 9 Febbraio io ed Andrea Di Pascasio siamo al piazzale dei Prati Di Tivo, ancora…Tutto il materiale steso ai piedi della macchina aspetta solo di essere infilato in uno zaino. Saremo leggerissimi, come sempre… Insieme a noi c’è anche Andrea Di Donato che però non potrà farci compagnia oggi, ha un cliente!

La giornata, come previsto, è eccezionale, nemmeno una nuvola. Tuttavia l’atmosfera non è così rilassata come dovrebbe essere. Una scalata in montagna, con quelle condizioni, con quegli amici…accidenti, è il massimo! Ma l’alpinista ingordo ed avido certe volte non si accontenta, vuole di più. L’alpinista sa quando è il momento di “gettare il cuore oltre l’ostacolo”, lo sa perché si sente pronto, perché le condizioni lo permettono, perché i compagni in quel momento stanno pensando la stessa identica cosa.

Durante la routine della preparazione degli zaini ci si gratta il capo e ci si scambiano sguardi che contengono libri di parole. “Non vi stancate troppo, domani si va in guerra” così Andrea Di Donato rompe gli indugi. Da quella frase in poi la giornata ritrova un senso, come noi ritroviamo il sorriso. La giornata scorre veloce, io e il mio compagno siamo ad Est, al sole, mentre Di Donato è a Nord in un canale freddo e ombroso. In comune però c’è una frase, che rimbomba nelle teste di tutti, e che lascia un’incognita sul dove quella guerra si sarebbe combattuta. Si pensa al Monte Camicia, con quella linea integrale che così raramente si forma; si pensa alle Murelle e si pensa a Fulmini e Saette che da troppo tempo aspetta la prima ripetizione in invernale.

La sera ci ritroviamo tutti a Teramo, nella stessa casa, per mangiare, rigenerarci un po’ e, finalmente, decidere come  trascorrere i prossimi giorni. Io sinceramente spero che la scelta ricada sull’Anticima, su Fulmini e Saette, ma non esternavo questo pensiero, forse perché sapevo che in fondo anche Andrea ed Andrea la pensavano come me. In fine è fatta, è deciso…si salirà Fulmini e Saette! La sera fino a tardi siamo in ginocchio per terra a scegliere con attenzione il materiale e da lì capisco che nulla ci avrebbe fermato. Abbiamo da mangiare per due notti, ma resistenza fisica e attitudine alla sofferenza per passarne altre tre o quattro in parete. Abbiamo capacità e protezioni per scalare in libera l’intera via, ma siamo anche disposti a scalare in artificiale fino all’ultima fessura, se necessario.

Di nuovo il piazzale, di nuovo la Madonnina, di nuovo neve da pestare e pestare e pestare…L’umore è dei migliori, sembrava di andare in gelateria o al bar. Ogni passo una battuta, una risata, una presa in giro. La Cengia dei fiori parte dal lato Nord del Corno Grande e con un traverso a sinistra sbuca in pieno Paretone, a Est, dove ci aspetta il solito spettacolo. Luci, ombre, canali infiniti e pareti suggestive. Impieghiamo tutto il giorno per raggiungere l’attacco della nostra via. Incontriamo discese in doppia, pendii ripidi, ghiaccio e misto. Dopo 10 ore dalla partenza ci siamo, il primo tiro che in genere è il più duro (non in inverno) è sopra di noi. Ci sentiamo come dei robot, tocca a me salire il tiro da primo. La prima metà è ghiacciata, poi la parete si impenna. Con un pit stop velocissimo sostituisco i ramponi con le scarpette da arrampicata, e si scala…

Raggiungiamo la prima sosta e decidiamo di bivaccare. Scaviamo il ghiaccio con fatica e scopriamo che sotto non c’è un filo di  cengia, nemmeno per stare seduti. Non importa! Dopo un pasto caldo e un tè ci infiliamo nei sacchi a pelo e, completamente appesi all’imbrago, ci apprestiamo a passare una lunghissima ma bellissima notte. Il freddo non ci da fastidio, fa parte del gioco, e comunque abbiamo un altro tipo di calore…quello dei compagni che ridono, scherzano, ti amano, ti consolano e ti aiutano. Ogni 10 minuti siamo costretti a tirarci sulla corda per levare il peso dall’imbrago e far respirare le gambe che sistematicamente si addormentano.

In pieno Paretone, con le frontali accese, è come essere in vetrina. Chiunque con una buona vista può vederci luccicare. Al telefono scopriamo infatti che il carissimo amico Daniele Gentile, validissimo alpinista, è sotto di noi, in autostrada e sta strombazzando col clacson per salutarci. Non riusciamo a udire realmente il suono dell’auto ma lo sentiamo vicino a noi con le orecchie dell’amicizia. Intorno alle 7:00 da dietro il Monte Camicia sembra intravedersi un raggio di sole. Lo anticipiamo di qualche minuto preparando del tè e facendo colazione. Colpiti dalle primi luci riordiniamo tutto con tranquillità e naturalezza e ci prepariamo per la scalata. Sarà una giornata lunga e dura, una guerra.

Le condizioni della scalata cambiano in continuazione. In un unico tiro si alternano ghiaccio e roccia anche tre o quattro volte. Di conseguenza ci troviamo a scalare con le scarpette sulla neve o con i ramponi sulla roccia, con le piccozze sui ciuffi d’erba o con le mani sulle concrezioni di ghiaccio. Ma in questo momento e in questa salita tutto è normale e tutto è bello così com’è. I miei compagni ricordano di un grottino nei pressi degli ultimi tiri e con la gambe ancore indolenzite dalla nottata il pensiero di stendersi un po’ ci spinge a scalare fino a notte, fino a quel grottino. I tiri, sempre impegnativi, ci hanno entusiasmato. Piantare un chiodo è sempre più faticoso, scalare con lo zaino è massacrante e la via non sempre è chiara. Un corpo a corpo continuo con la natura e con gli elementi! Ma noi godiamo in quella sofferenza, viviamo di quella sofferenza.

Il bivacco è sempre un piacere, in qualsiasi condizione, ma ci sono piccoli dettagli che lo rendono più amabile: la soddisfazione nel come è stato raggiunto, le persone con cui lo condividi e infine la comodità. Valutando questi parametri posso affermare che questo bivacco è Perfetto!
Minestra, formaggio, pane e tè e poi finalmente una o due ore di sonno. Ci svegliamo in piena notte, tremando, e scambiamo per ore chiacchiere come se fossimo  adolescenti in gita che non prendono sonno.

Sole, colazione, preparativi, un’ultima battaglia e finalmente la cresta finale. Un centinaio di metri di terreno facile ci separano dalla vetta. Li saliamo in volata come ciclisti e intorno alle 10:00 siamo sull’Anticima N del Paretone. La guerra è vinta, l’invernale è riuscita ma l’emozione  aspetta ancora ad uscire fuori. Ci scappano due parole per Tiziano Cantalamessa al quale abbiamo dedicato la salita, per spirito e stile, e poi giù in macchina, alle 15:00 devo essere a lavoro!
Abbiamo pochi minuti per salutare i soliti frequentatori del posto, tutti amici, e ancora meno tempo per mangiare una pizza a Teramo.

Poi arriva il relax per tutti…ed è lì che sale l’emozione, la consapevolezza di quello che abbiamo fatto, la semplicità con cui abbiamo trasformato il difficile in facile solo con una battuta o con una parole dolce. Quando immaginavo questa via in invernale mi sentivo un fanatico a bordo di una 500 che stringe lo sterzo immaginando di guidare una BMW…Ora mi sento a bordo di una Ferrari!

Lorenzo Angelozzi




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