Aconcagua, una riflessione dopo la tragedia

Marcello Cominetti fa una riflessione sulla vicenda che sull'Aconcagua è costata la vita a un'alpinista italiana e ad una guida argentina.
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La vetta dell'Aconcagua, la cima più alta del Sud America.
Marcello Cominetti
In moltissimi hanno sicuramente seguito le tragiche vicende successe tra l'8 e il 10 gennaio scorsi all'Aconcagua. Vuoi per il grande risalto dato da tutti i mezzi di informazione. Vuoi perché chi ci segue è troppo vicino al mondo della montagna per rimanere indifferente. Stiamo parlando, naturalmente, della bufera che, poco sotto la cima della più alta vetta del Sud America, è costata la vita all'italiana Elena Senin e alla guida argentina Federico Campanini. E, insieme, ha procurato infinite sofferenze ai loro 3 compagni di salita salvati dai soccorritori argentini, e da poco rientrati in Italia.

E' una vicenda di cui non abbiamo dato notizia mentre tutto accadeva. Lo facciamo ora, pubblicando questa riflessione di Marcello Cominetti, guida alpina nonché co-titolare della Star Mountain, l'agenzia che ha organizzato la logistica di quel viaggio-spedizione.

In verità, Cominetti l'avevamo sentito anche nell'immediatezza dell'accaduto, quando ancora le notizie erano meno che frammentarie se non, come sempre succede in questi casi, assolutamente incontrollabili. In quell'occasione, come già in passato, ci è sembrato fosse più giusto non precipitarsi a dare quelle scarne, incomplete e tragiche informazioni, del resto già presenti in gran quantità (tutte, o quasi, uguali) sul web, i giornali, le televisioni.

Non sappiamo se sia stata la scelta più giusta, probabilmente qualcuno di voi si sarà domandato il perché di questa mancanza. La risposta almeno parziale forse arriva da questo intervento a posteriori. Non troverete i fatti, quelli solo i testimoni possono raccontarli, ma troverete una riflessione su come si vivono questi fatti e insieme come la montagna, l'Aconcagua ma non solo, sia il regno della grande natura che mai e poi mai noi uomini riusciremo a controllare.


Aconcagua solo andata e l'informazione “pret a porter”
di Marcello Cominetti

Non sono qui a scrivere di come si è svolta una delle solite tragedie in montagna in cui hanno perso la vita l’ alpinista italiana Elena Senin e la guida argentina Federico Campanini nei primi giorni di gennaio sulla più alta cima d’ America. Non descriverò i fatti, che magari molti vorrebbero conoscere, semplicemente perché non ero lassù con loro e quindi non avendo sufficienti elementi per farlo, non lo farò. Fatto per me assai strano ma che purtroppo accade sovente, giornali, internet, radio e Tv hanno fornito in quei giorni dettagli precisi sull’accaduto elaborando supposizioni e notizie frammentarie con incredibili maestria e fantasia.

Per fare del buon giornalismo, diceva Ryszard Kapuscinski, si deve essere innanzitutto degli uomini buoni: “Solo l’uomo buono cerca di comprendere gli altri, le loro intenzioni, la loro fede, i loro interessi e le loro tragedie. E sceglie di diventare subito una parte del loro destino”. E ancora: “La televisione ci fornisce una versione della storia quanto mai drammatizzata e manipolata. Ho visto Mosca al tempo del colpo di stato: nel complesso era una città tranquilla. Il telespettatore occidentale vedeva un carro armato in fiamme ma ignorava il fatto che, duecento metri più in là, la gente faceva la coda per comprarsi un chilo di zucca”. Permettetemi la citazione da uno dei più grandi reporter del nostro tempo solo per dire in maniera spicciola come dovrebbe operare chi informa.

Il pubblico, si sa, vuole giustamente sapere anche i fatti degli altri allo stesso modo sia che si tratti di attori, politici o connazionali in difficoltà su una montagna lontana da casa e i media devono soddisfare questa bramosia con uguale intensità di chi la richiede e non mancano affatto di farlo. E’ il mercato della povertà di idee e opinioni. Si, è un mercato, perché audience, contatti e copie vendute sono tutti elementi traducibili in moneta e quindi in vendita di pubblicità, posti di lavoro, ulteriore benessere, incremento dell’indotto fino all’aumento del PIL, perché la “crescita” deve andare avanti come si trattasse di un bambino che il pediatra controlla per vedere se tutto è a posto e somministra vitamine quando qualcosa rallenta in luogo magari di consigliare ai genitori una vita semplicemente più sana.

Nulla accade per caso, quindi l’informazione è passata in quei due-tre giorni attraverso il mio cellulare e quello dell’agenzia italiana di cui sono tra gli altri titolare, che è quella che ha fornito al gruppo di alpinisti in questione i servizi per recarsi in Argentina a salire lungo la sua via più facile l’Aconcagua 6962 m. In breve, quello che i giornalisti mi hanno chiesto ha avuto dal sottoscritto risposte solo in parte per quanto ho già scritto sopra, ma a quanto pareva non era abbastanza sentirsi dire “è stata una fatalità” perché purtroppo queste cose in montagna (ma anche in mare) succedono e basta. Non c’era da dare una colpa a qualcuno e questo irritava i più, perché se si scatena un temporale (così è accaduto) sulla cima e chi si trova lassù è come se venisse avvolto improvvisamente da un uragano in cui è veramente difficile mantenere la lucidità necessaria per un sacco di fattori, questo non piace perché l’unica colpevole è la natura e come accade per gli tsunami si può e si deve parlare solo di fatalità.

I giornalisti si aspettavano da me che dicessi che gli alpinisti non erano preparati, che erano male equipaggiati e che avevano fatto errori e che le guide con loro erano incompetenti. Questo lo so per certo perché era quello che mi chiedevano in continuazione ed è stato quello su cui hanno maggiormente ricamato arrivando ad affermarlo secondo il loro gusto, al punto che mia madre mi chiamava per dirmi cosa stava succedendo lassù secondo la TV nello stesso momento in cui io e l’ agenzia eravamo in contatto con il Campo Base della montagna.

Ho capito in quei momenti che se lo avessi voluto avrei potuto cavalcare la tigre che stava davanti a me addomesticata più del mio gatto, avrei potuto intervenire in diretta ai telegiornali, avrei potuto sbandierare facilmente tra le righe un sacco di pubblicità per la mia agenzia e mi sarei potuto fare bello davanti a milioni di spettatori se questo mi fosse appena piaciuto. In molti lo fanno in questi casi. E l’informazione becera quando scopre un canale che le dà le informazioni come lei le vuole, sarà sempre là che si rivolgerà perché così è più facile e soprattutto funziona. E avanti così.

Tra le molte ho avuto due chiamate distinte da parte di giornalisti che già conoscevo per altri motivi, di Repubblica e LA7. Si tratta di due appassionati di montagna a loro modo competenti e sono stati i soli ad esprimere almeno due parole di solidarietà con chi lassù stava morendo e a noi che stavamo facendo del nostro meglio per tenere la situazione relativamente sotto controllo e poi a dare delle notizie sincere, reali, ma proprio perché loro in montagna ci vanno e quindi sanno. Ecco, l’informazione serve quando chi la fa, sa! Altrimenti è cialtroneria irrispettosa anche dell’altrui dolore che attraverso inutili sensazionalismi mette in difficoltà chi sta vivendo la sventura (alpinisti, familiari, amici, etc) solo per imbottire di ulteriori fandonie dei contenitori ormai già saturi di spazzatura ovvero molti media e i cervelli di quel pubblico già ottuso che così diviene sempre più credulone.

Sinceramente in tutta questa vicenda ho sofferto per quelle persone che si trovavano lassù a combattere per portare a casa la pelle perché so com’ è in quei momenti e per questo chi sa soffre di più di chi non sa. In fondo l’ignoranza in certi campi è l’anestetico al più buon mercato. La nostra agenzia non si è sentita legalmente responsabile per scelte locali fatte sul momento da partecipanti e guide (di cui una scelta privatamente dai partecipanti che già la conoscevano), ma si è sentita responsabile moralmente verso quelle persone che conoscevamo anche personalmente perché già nostri clienti in precedenti viaggi condotti da nostre guide alpine, e quindi si è prodigata come ha potuto per rendere tutto il possibile meno gravoso per gli alpinisti e le loro famiglie. Nulla di più. Dovere e basta ci siamo detti e non ci aspettiamo ne vogliamo ringraziamenti per quello che è stato.

Due parole invece le voglio spendere infine per la montagna: l’Aconcagua, una delle cime più ambite dall’escursionista avanzato se raggiunta per la sua via normale, la più facile, che non richiede mai l’uso di attrezzature alpinistiche come corde o altri attrezzi da scalata, perché neppure usare le mani serve. In passato la cima è stata raggiunta e discesa con il mulo e perfino con la mountain bike e il record di salita dal campo base alla cima se non sbaglio è sotto le tre ore. Il campo base di Plaza de Mulas è un enorme agglomerato di tende di ogni dimensione dove ci sono infermeria, camera iperbarica, medici, negozi, ristoranti, centro meteo, telefoni e stazioni radio e un enorme rifugio-albergo con camere, bagni e living. La Gendarmeria Argentina (l’equivalente del nostro corpo dei Carabinieri) svolge il servizio di soccorso impiegando l’elicottero coadiuvata da un gruppo di alpinsti e guide del posto, che in questa operazione sono stati di fondamentale aiuto ed è il minimo ringraziare.

Questo per dire che si tratta di una montagna tecnicamente molto facile e ben assisitita turisticamente (non dimentichiamo che l’alpinista è un turista solo un po’ più cocciuto) e che per questo attira anche persone poco preparate. L’elevata altitudine e la rapidità con cui vi si arriva a causa della facilità dell’ascensione ne fanno una meta temibile perché il mal di montagna è sempre in agguato e in nessun posto come qui vi si può essere soggetti per i motivi che ho appena spiegato. Capita di arrivare in cima in maniche di camicia ma sovente invece le temperature scendono di parecchio sotto lo zero e i forti venti occidentali abbassano l’ effetto “wind chill” a valori davvero estremi, quindi salire l’Aconcagua anche per la via più facile non è affatto uno scherzo e prevede il possedere un’esperienza di gran lunga superiore a quella che le difficoltà tecniche esigerebbero se si valutassero slegate da quelle ambientali che ho appena descritto.

Marcello Cominetti



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