La Supercanaleta del Fitz Roy di Yuri Parimbelli e Piera Vitali

Il 1 dicembre Yuri Parimbelli, guida alpina di Seriate (Bg) e Piera Vitali hanno salito il Fitz Roy (3445m, Patagonia) lungo la via della Supercanaleta (1600m, VI+, 90°).
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Attraversando il Lago de los Tres ghiacciato
arch. Y. Parimbelli, P. Vitali
Si dice che la Patagonia sia cambiata. Si afferma che le tempeste patagoniche non siano più quelle di una volta. Sarà vero, anzi è vero. Ma non bisogna crederci troppo. Lo prova anche quest’esperienza di Maria Rosa Morotti, Gianbattista Galbiati, Vito Amigoni, Yuri Parimbelli e Piera Vitali partiti il primo novembre scorso per tentare il Pilastro Goretta del Fitz Roy per la via firmata da Renato Casarotto nel 1979. Dopo un mese di brutto tempo e condizioni out, cambio di programmi con spostamento dell’obiettivo sulla via Franco Argentina sempre sul Fitz Roy, arriva la scadenza per il ritorno con un nulla di fatto. Ma appunto, la Patagonia è sempre la solita imprevedibile Patagonia. Così basta l'incontro fortuito con Rolo Garibotti che li avverte di una prossima finestra di bel tempo, e tutto cambia. Quattro dei cinque amici riescono a cambiare la data del volo di rientro, e ricomincia l'avventura. E' così che Yuri e Piera il 1° dicembre salgono la Supercanaleta del Fitz Roy (1600m, VI+, 90°), la classica e bellissima via aperta nel 1965 dai patagonici Doc Carlos Comesaña e José Luis Fonrouge. Rosa e Vito invece sono ancora respinti dalla via Franco Argentina. Ecco la Patagonia dunque, che ritorna con la sua indecifrabilità. Dove il tempo dell'attesa vale quanto se non più della salita. Per questo Piera e Yuri dicono che in cima al Fitz Roy erano in 5: c'erano anche Rosa, Vito e Battista che con loro hanno aspettato e sperato quella cima.

VACANZE AL FITZ ROY
di Yuri Parimbelli e Piera Vitali

Ci sono viaggi tanto sognati, tanto aspettati. Ci sono posti, come la Patagonia, tanto raccontati e vissuti da scrittori, alpinisti, viaggiatori che quasi già immagini cosa troverai. Ci sono momenti in cui forse un viaggio non andrebbe intrapreso per motivi personali, per motivi di lavoro per tanti motivi. Ma alla fine c’è qualcosa che comunque, visto che ormai è tutto pronto, visto che è il “viaggio sogno”, che ti fa partire. Così il primo di novembre dopo alcuni mesi di preparazione fisica, pratica e psicologica partiamo per la Patagonia con l’obiettivo di tentare il Fitz Roy lungo il Pilastro Goretta salito da Casarotto nel 1979.

Siamo in cinque amici: Maria Rosa Morotti, Gianbattista Galbiati, Vito Amigoni, Yuri Parimbelli e Piera Vitali. Arriviamo a El Chalten il 3 novembre e subito cominciamo a organizzare la nostra permanenza al campo Rio Blanco. Trasportiamo materiali e viveri ma da subito la meteo non è favorevole. Molta neve, alternata da qualche giornata di vento fortissimo. Riusciamo comunque a raggiungere il Passo Superior dove scaviamo una truna che ci ospiterà parecchi giorni. Con una giornata stupenda, a fatica a causa della tanta neve, raggiungiamo la base del canale che porta all’inizio del Pilastro Goretta. Siamo contenti ed emozionati di poter finalmente provare la salita: una sensazione brevissima visto che ci troviamo la strada sbarrata da una crepaccia terminale enorme. La neve caduta ha formato un tetto che sporge circa quattro/cinque metri ed è due/tre metri sopra di noi. Non riusciamo a passare.

C’è un po’ di sconforto, ma sapevamo che questa parte iniziale avrebbe potuto dare problemi e decidiamo così di provare a salire la via Franco Argentina. Anche qui la crepaccia terminale è molto alta ma il bordo è solido e così Yuri salendo sulle spalle di Vito riesce a valicare il salto, mentre Battista assicura entrambi. Il canale che conduce alla Brecha de los italianos viene fissato con corde fisse così che si possa risalire e scendere rapidamente quando sarà il momento del tentativo. Ci tocca aspettare un po’ di tempo visto che la meteo non ci permette molto. Quando si prospetta una finestra di bel tempo partiamo. Yuri e Vito nel pomeriggio salgono i primi tre tiri fissando le mezze corde, sempre per rendere più veloce la salita. La parete e le fessure sono molto sporche di ghiaccio e di neve e rendono la progressione molto lenta e faticosa. Bivacchiamo alla base della Franco Argentina. Il giorno del “tentativo” la meteo è già brutta: neve e vento ci fanno tornare indietro senza neanche provare. Si tolgono le corde e si scende.

Ci aspettano molti giorni di brutto tempo, alcuni passati a fare un azzardato tentativo che non serve a nulla se non a dormire un’altra notte in truna e ad abbassare il morale di tutti. Così decidiamo di desistere, visto che anche il tempo a nostra disposizione è finito. E’ una brutta sensazione che vanifica gli sforzi di un mese e il sogno di arrivare in cima ad una montagna così bella. Scendendo incontriamo l’ormai amico Rolando Garibotti (Rolo). Per chi non lo conoscesse si tratta veramente di una persona speciale dal grande senso di ospitalità, gentile e altruista. Da quando siamo arrivati ci ha aiutati dandoci indicazioni e consigli preziosi. Ci dice: “Ragazzi, andate in agenzia e spostate subito il volo! Danno una settimana di bel tempo stabile senza vento.”

Abbiamo imparato un po’ a conoscere Rolo e dal suo tono di voce traspare l’entusiasmo di un bambino che a sua volta è pronto per una nuova salita in Patagonia. E’ proprio così in Patagonia, si aspetta, si prova un po’, si aspetta, si aspetta e si aspetta ancora, poi, quando arriva il momento giusto tutto cambia. La gente si muove più veloce e l’entusiasmo è ovunque. Il paese è in fermento. A questo punto chi di noi può cambia il volo di rientro. Sfortunatamente Battista non può fermarsi oltre. Rimaniamo in quattro: Vito e Rosa decidono di perseverare sulla Franco Argentina mentre Yuri e Piera scelgono di tentare la Supercanaleta.

La meteo indica tempo instabile fino a sabato. Da sabato miglioramento e poi bello fino a martedì. Partiamo per la Supercanaleta del Fitz Roy. Venerdì passiamo la prima notte alla Pietra del Fraile, sabato saliamo al Passo del Cuadrado e riscendiamo attraversando il ghiacciaio fino alla base della via. Il tempo è brutto e il rialzo termico ci regala addirittura della pioggia. Bivacchiamo contro la parete ma la partenza fissata per la mezzanotte è rimandata. Siamo un po’ scoraggiati. Fa troppo caldo, ci si è rotto il fornellino e la cordata argentina che a sua volta voleva tentare se ne va.

Rimaniamo lì pensierosi. Sappiamo che non è una salita da sottovalutare ma rimaniamo concentrati e motivati. Finalmente a mezzogiorno il bel tempo arriva e ci regala una mezza giornata di relax: perfetto per fare asciugare tutto. Cielo terso, niente vento e temperatura alta… un po’ preoccupante visto che la via, piano piano, va tutta al sole. Alla sera però siamo convinti e pronti. A mezzanotte partiamo. Con noi sulla via ci sono altre due cordate: un norvegese con un argentino e una cordata di tre argentini. Saliamo vicini l’uno all’altro. Procediamo abbastanza veloci lungo la prima parte, poi un paio di tratti più impegnativi con ghiaccio non in perfette condizioni a causa del caldo.

Finalmente si arriva al bloque dove si taglia a destra per iniziare la salita su misto. E’ ancora buio e le altre due cordate seguono una linea diversa tornando poi indietro e seguendo noi. Finalmente arriva la luce. I primi tiri di misto sono abbastanza delicati ed impegnativi ma anche divertenti. Saliamo rapidi ed affiatati arrampicando sempre con i ramponi e con una piccozza che all’occorrenza si fa scivolare lungo la dragonne. A volte seguiamo linee leggermente diverse dalle altre cordate. Non è male, non ci si dà fastidio. Alle undici scaliamo al sole. Si toglie la giacca! Non c’è vento e si sta veramente bene.

Nel primo pomeriggio arriviamo al colle dove esce la via dei californiani. Uno stupendo balcone con vista Cerro Torre: è la prima sosta che facciamo per mangiare una barretta “Mantecol” una specie di mattone proteico al cioccolato. Ora manca tutta la parte che da destra porta in cima alla cresta dalla quale si scende all’intaglio. Sarà la stanchezza ma questa parte si rivela la più lunga e faticosa di tutta la salita. Raggiungiamo l’intaglio e poi risalendo gli ultimi 200 metri siamo in vetta verso le 17:00. Arriviamo tutti insieme e si festeggia con torta argentina e formaggio italiano. A volte si dice che l’anticipazione di un momento è meglio del momento stesso. Forse è vero. La nostra vetta è stata veloce, un breve stop per poi subito pensare alla lunga discesa. Giusto il tempo per una stretta di mano, qualche foto e via.

Si scende lungo le doppie della Franco Argentina. Alle dieci siamo alla Brecha de los italianos, si scende ancora e, dopo una lunga e faticosa camminata sul ghiacciaio arriviamo al Passo Superior alle 1:30. La nostra truna è occupata e quindi dormiamo sotto una meravigliosa stellata. Siamo stanchi ma felici. Le difficoltà sono finite, il giorno successivo dobbiamo solo scendere.
Questa salita è condivisa con Rosa, Vito e Battista che con noi hanno sudato e creduto in questa avventura avendo però meno fortuna di noi. Rosa e Vito hanno infatti fatto un tentativo alla Franco Argentina ma trovando troppa neve e troppo ghiaccio nelle fessure.

Al paese siamo accolti dai vari amici conosciuti con abbracci e “felicitaciones”. Un nuovo amico conosciuto a El Chalten raccontandoci aneddoti dopo qualche birra dice una frase che ci rimane nella mente: “in Patagonia ognuno ha una sua salita che è diversa da quella di tutti gli altri”. Forse questo racconta tutto. Il nostro viaggio è stato arricchito da un mese di fatica e gratificato in venticinque ore. Bisognerebbe essere scrittori per spiegare e descrivere le sensazioni belle e brutte provate durante la salita e lo stupendo panorama mozzafiato che allungava l’orizzonte fino all’infinito. Una salita impegnativa ma una salita che ci rimarrà nel cuore per sempre lasciandoci un po’ di tristezza pensando ai nostri tre compagni di viaggio che non erano in vetta con noi. Suerte! Speriamo di ritornarci.

Yuri Parimbelli e Piera Vitali
Note:
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